Samba è entrato in un bar del centro carico dei suoi 23 anni e di una montagna di braccialettini e portachiavi rinchiusi in uno zainetto. Un bel ragazzetto, alto e magro, tipico figlio del Senegal. Lo sguardo nero e timido, che ti fulmina nel tentativo di non sentirsi inferiore e poi sprofonda nei ringraziamenti davanti ad una banconota da 5 euro regalata nel tentativo di pulirmi la coscienza davanti a quel giovanotto che ha l’età di mio figlio, ma so che la sera non trova il letto pulito né la cena sul piatto.
Ce ne sono tanti di Samba. Buoni e cattivi, diligenti o scavezzacollo, persone perbene o delinquenti che andrebbero rinchiusi. Samba mi ispira fiducia. Sarà che parlo la sua lingua (francese) e lui si apre a raccontarsi, sarà (soprattutto) che preferisco passare del tempo con un ragazzetto con lo zainetto che spera di vendermi un braccialetto pur di guadagnare un euro, piuttosto che andare a fare un’operazione in una banca che mi ha ‘fregato’ una marea di soldi eppure ai suoi sportelli qualcuno si permette di guardarmi dall’alto in basso se faccio una domanda di troppo.
Samba è venuto in Italia in barcone e il suo amico, che ha viaggiato con lui, è morto durante la traversata. Ho provato ad offrirgli una spremuta e un tramezzino, ma è in Ramadan e io non ho intenzione di stare con lui fino al tramonto. Penso che io della mia religione so solo che il venerdì dovrei mangiare pesce, ma siccome è un giorno che cade sempre (mannaggia a lui) a ridosso del weekend, mi dimentico di Dio e mi concedo qualche fetta di sopressa per festeggiare con gusto.
Samba ha una mamma e un fratello ed è orgogliosamente musulmano. Per la sua religione ha quell’attaccamento feroce che è tipico delle persone ignoranti. Tipico, di tutte quelle persone che credono in qualche modo che oggi si possa parlare di guerra religiosa senza rendersi conto che di religione, come d’amore, si muore solo perché non si ha il coraggio di guardare oltre e di vedere le cose per quello che sono. Samba in Italia vuole lavorare e non gli interessa il tipo di lavoro. “Mi basta guadagnare dei soldi per vivere – mi ha detto in un francese di gran lunga migliore del mio – E poi voglio sposarmi. Con una donna italiana visto che sono in Italia, perché solo una donna italiana può insegnarmi a diventare italiano. Se invece andrò a vivere in Francia, allora voglio sposare una donna francese. La più grande preoccupazione di mia mamma è che io non mi sposi e io voglio che lei stia tranquilla”.
Apro il portafoglio e tiro fuori 5 euro. Li rifiuta e mi mette davanti una sfilza di braccialetti perché lui la carità non la vuole. “Ho cose da vendere e i soldi me li guadagno”, mi ha detto a voce alta, incenerendomi con quello sguardo di fuoco, che ha abbassato solo quando con estrema presunzione gli ho detto “fai conto che io sia tua mamma e questi soldi te li do per mangiarti un panino”. “Dirò una preghiera per te”, mi ha risposto lasciandomi interdetta.
Samba ha preso le sue cose e se n’è andato, salutando tutti ma ricevendo di ritorno solo sguardi infastiditi. Eppure, mi sono chiesta entrando in banca, quanti Samba avrei sfamato con i soldi che ho perso con il crac della mia banca? Quante preghiere avrei ricevuto come ricompensa? Ho pensato a Gianni Zonin, fermo sulla porta di casa mia con la mano tesa a dirmi “dammi 10 euro”, ogni giorno per tutta la vita e ancora non avrei raggiunto la cifra che ho perso.
Ho pensato che una sera, quando ero assistente del presidente di una compagnia aerea, l’allora presidente della Banca Popolare di Vicenza mi ha telefonato al cellulare all’ora di cena per dirmi che non aveva posto in aereo per tornare a Venezia e se potevo risolvergli al volo la faccenda. In cambio ho ricevuto una cassa di vino, in segno di gratitudine. Ognuno ringrazia a modo suo, ci mancherebbe, ma sinceramente, ho preferito il ringraziamento di Samba: pulito, sincero, fresco e soprattutto onesto.
Anna Bianchini