Se ne vanno i 40 profughi da Tonezza tra proteste e malumori.  Non si sa ancora dove andranno perchè dovranno essere smistati in appartamenti e altri centri dell’Alto Vicentino. L’albergo Belvedere chiude battenti e dopo 3 anni, un intero mondo di volontari ha gravitato attorno ad immigrati, che hanno pure saputo lasciare un segno.
500 storie tutte con la loro infelicità e con un carico di speranza.
Tanti, tantissimi di loro accomunati dall’analfabetismo, aiutati dai volontari non solo a imparare l’italiano, ma a tenere per la prima volta una penna in mano. A segnare con tratto incerto le lettere dell’alfabeto e imparare a scrivere il proprio nome.
Altri invece sono scappati, spariti nel nulla, come racconta Franca, una delle due titolari del Belvedere che fa riferimento all’incredibile storia del disabile bengalese in sedia a rotelle che una mattina prestissimo,  è fuggito assieme a un compagno anche lui con problemi di deambulazione e con le  stampelle. Forse per raggiungere altre destinazioni. Ma chissà ora dove sono.
I gestori dell’albergo li hanno cercati e aspettati invano perché si sono dissolti nel nulla senza lasciare tracce o fare ritorno.
Ragazzi che hanno avuto il permesso di soggiorno e lo stato di rifugiati che ora sono in giro per l’Italia a lavorare nei campi per pochi euro o che si sono trovati sulla strada.
Perché funziona così, quando ti viene dato il permesso di soggiorno finisce istantaneamente l’accoglienza e sei fuori, devi trovare un modo per sopravvivere e mantenerti.
Mentre i titolari dell’albergo di Tonezza, che ha chiuso battenti dopo il rincaro dell’affitto diventato per loro troppo caro, si avvicina  Omaru, scricciolo ivoriano con la faccia da ragazzino e ancora sulla schiena i profondi segni delle torture nelle carceri libiche.
Una volontaria di Carrè  racconta la storia di Shola, ventenne nigeriano che è partito con la fidanzata e arrivato a Lampedusa, i due  sono stati dislocati in differenti parti d’Italia. Lui è stato è mandato a Tonezza al Belvedere. Shola racconta alla volontaria che aveva imparato a suonare il sassofono in un orfanotrofio in Nigeria e non aveva potuto portarlo sul barcone. Questa volontaria ormai diventata sua amica si adopera per trovargli un sassofono che viene donato da Mario Porto, direttore della Banda di Roana e da Samuele De Marzi sassofonista di Chiuppano. Durante una cena in albergo, la volontaria, gestori e donatori hanno organizzato una sorpresa per Shola che prima incredulo e poi con un’esplosione di felicità, ha trovato il sassofono ben impacchettato fra gli applausi e la commozione di tutti. “Ha suonato così tanto che i compagni per scherzo gli hanno intimato di sequestrargli lo strumento” ricorda la volontaria. La fidanzata dopo poco è rimasta  incinta e ora questa piccola nuova famiglia si è ricongiunta.
C’è la storia di Makan, maliano di 19 anni analfabeta. Un viaggio che è durato tre anni attraverso deserto della Mauritania, Algeria e Libia dove ha conosciuto le atrocità del carcere. Arriva a Lampedusa e poi a Tonezza. Al Belvedere trova un ambiente accogliente e un’insegnante lo prende a cuore e inizia ad alfabetizzarlo regalandogli il primo quaderno e la prima penna della sua vita.
“Ha faticato a comprendere il valore dell’istruzione ribadendo che anche senza saper leggere e scrivere era riuscito a fare quel viaggio” racconta l’ insegnante. Successivamente è stato trasferito in un appartamento a Breganze con altri maliani e ha iniziato uno stage in un colorificio dove da subito si è fatto ben volere. Ha ottenuto  il permesso di soggiorno, dopo due anni la commissione gli ha riconosciuto  lo stato di rifugiato e adesso Makan tramite una conoscenza è a Canicattì dove fa il pastore, ma sempre col fedele quaderno con sé,  col quale invia selfie pieni di riconoscenza all’insegnante, che gli ha dato la possibilità di  leggere e scrivere.
Alcune sono storie di riscatto, ragazzi che hanno trovato lavoro, amore e si sono costruiti una famiglia.
Stefania e Franca, che hanno gestito l’albergo e una volontaria, raccontano tutte le  vite passate da lì, perché, spiegano: ‘ogni ragazzo è un po’ come se fosse diventato parte della famiglia’.
Sono rimaste  in contatto quasi con tutti e con riconoscenza e affetto i ragazzi le tengono aggiornate sulle proprie vite.
Annina Botta
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