Ornella Vanoni è morta ieri sera, nella sua casa di Milano, a causa di un malore improvviso. Aveva 91 anni. L’Italia perde una voce inconfondibile, un’anima inquieta e raffinata, una diva che ha attraversato oltre settant’anni di storia artistica lasciando un segno indelebile nella musica, nel teatro e nella cultura contemporanea. La notizia, riportata da RaiNews, ha fatto immediatamente il giro del Paese, lasciando sgomento un pubblico che con lei è cresciuto, si è emozionato e spesso si è specchiato. Perché Ornella non è mai stata “solo” un’interprete: è stata stile, coraggio, libertà. Una donna capace di trasformare la fragilità in forza scenica, l’ironia in disincanto elegante, la sua voce roca e profonda in un marchio che nessuno ha mai saputo imitare. Nata a Milano nel 1934, formatasi all’Accademia del Piccolo Teatro sotto la guida di Giorgio Strehler, Vanoni ha debuttato sulle scene nel mondo del teatro prima di conquistare il panorama musicale italiano.
Dalle celebri “canzoni della mala” alla stagione della bossa nova, dalle collaborazioni con Gino Paoli agli arrangiamenti visionari degli anni Ottanta, la sua carriera è stata un percorso in continua trasformazione. Sempre un passo avanti, sempre fedele a se stessa. Ha attraversato festival, scandali, rinascite, mode e rivoluzioni sonore senza mai perdere la sua cifra: quell’eleganza volutamente imperfetta, quell’ironia tagliente, quel modo unico di stare sul palco come fosse un incontro intimo con ciascuno spettatore. Negli ultimi anni, nonostante l’età avanzata, non aveva smesso di raccontarsi, di cantare, di esistere con quella sincerità spiazzante che l’ha resa immortale. Si è data tutta, fino all’ultimo giorno, senza risparmiare nulla.
L’abbiamo amata come poche. Ci ha fatto commuovere. Ci ha fatto ridere.
E oggi, inevitabilmente, ci fa piangere.
Con la sua scomparsa se ne va un pezzo fondamentale della nostra identità culturale. Non solo una cantante, ma una donna capace di attraversare generazioni e linguaggi artistici senza mai perdere autenticità. Ieri sera è morta una diva. LA diva. Forse la più grande che avevamo. Resta un vuoto, certo. Ma resta anche un’eredità gigantesca: le sue interpretazioni, la sua voce, la sua intelligenza scenica, la sua ironia. E quella fragilità disarmante che, paradossalmente, la rendeva fortissima.
Stampa questa notizia




