Secondo il Tribunale per i diritti dell’uomo di Strasburgo il divieto per le coppie di portatori sani di malattie genetiche di eseguire lo screening sugli embrioni viola il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. Il giudizio emesso sul caso di una coppia italiana. Il ginecologo Flamigni: ”Ottima notizia, della legge 40 restano solo alcuni scheletri nell’armadio”

 

Il divieto, previsto dalla legge italiana sulla fecondazione assistita, per le coppie di portatori sani di malattie genetiche di eseguire lo screening sugli embrioni, viola il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. Lo sostiene la Corte europea per i diritti dell’uomo, in un giudizio sulla legge 40, emesso all’unanimità sul caso di una coppia italiana.

R. C. e W. P., sono portatori di fibrosi cistica e si erano rivolti alla Corte, secondo cui il divieto è in contrasto con l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani.

R. e W., rispettivamente del ’77 e del ’75, hanno avuto una bambina nata nel 2006 con la fibrosi cistica: allora hanno scoperto di essere portatori sani della malattia. Quando la donna è nuovamente rimasta incinta nel 2010, si è sottoposta alla diagnosi prenatale e il feto è risultato positivo. R. ha allora abortito.
La coppia vuole un bambino, e lo vuole sano, sottoponendo gli embrioni ottenuti per la fecondazione assistita allo screening preimpianto. L’analisi degli embrioni per impiantare nella donna soltanto quelli sani è vietata dalla legge 40, che la consente solo per le coppie in cui l’uomo ha una malattia sessualmente trasmissibile, come l’Hiv o l’epatite B e C, per evitare il rischio di contagio.
R. e W. non sono l’unica coppia che si battono per ottenere lo screening preimpianto. A gennaio del 2010, per la prima volta, il Tribunale di Salerno ha autorizzato due aspiranti genitori, portatori sani di atrofia muscolare, a sottoporsi al test. I due romani sono andati oltre e si sono rivolti a Strasburgo.
La Corte, nel giudizio che non è definitivo, evidenzia la discrepanza fra questo divieto previsto dalla legge 40 e l’aborto terapeutico, che invece viene consentito. Sottolineando che il no alla diagnosi preimpianto è previsto, in Europa, solo in Italia, Austria e Svizzera, la Corte conclude che viola l’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti umani, quello che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La Corte di Strasburgo ritiene che lo Stato italiano debba versare alla coppia 15 mila euro come risarcimento per danni non materiali e 2.500 euro per le spese sostenute.
Il ginecologo Carlo Flamigni, padre della fecondazione assistita e componente del Comitato Nazionale di Bioetica, commenta all’Adnkronos Salute il giudizio della Corte: “Da Strasburgo arriva un’ottima notizia, e in tempi come questi c’è da essere contenti. Mi sembrava, comunque, che questa parte della legge sulla fecondazione assistita”, relativa alla diagnosi pre-impianto in caso di genitori portatori di malattie ereditarie, “fosse nei fatti già disattesa in Italia: alle coppie bastava rivolgersi ai tribunali. Insomma, della legge 40 restano solo alcuni scheletri nell’armadio”. “Scheletri – riprende Flamigni – custoditi da signore poco compiacenti. Gli anni in cui la cosa pubblica è gestita da chi non ne sa nulla, si pagano. E il giudizio della Corte Ue lo dimostra ancora una volta”.
Per l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, “è una vittoria importantissima che dà un duro colpo all’impianto proibizionistico della legge italiana sulla fecondazione assistita”. (Adnkronos)

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