Tra i tanti misteri che avvolgono il momento dell’elezione di un nuovo papa, un posto di rilievo ce l’hanno di sicuro le presunte profezie che fin nei secoli passati hanno rivelato ‘ai posteri’ quello che sarebbe successo dentro il Conclave. E tra le profezie sul tema, vale la pena ricordare quella del “Petrus Romanus“, attribuita a San Malachia, che recita così: “Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum“. Tradotta dal latino, la profezia ci dice che “Pietro Romano, che pascolerà il gregge tra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo”. Insomma, San Malachia predice che l’ultimo Papa, chiamato “Petrus Romanus”, sarà al potere durante un periodo di grandi tribolazioni, e che dopo questo periodo la città dei sette colli sarà distrutta e vi sarà un giudizio finale. E ci offre, in sintesi, la terribile previsione della fine della Chiesa e del Mondo. Non solo, secondo gli esperti, Petrus Romanus sarà proprio il prossimo pontefice, destinato a succedere a Francesco.

 

La cosiddetta profezia di Malachia, nota anche come profezia dei papi, è in sostanza un elenco di 112 motti latini, ognuno dei quali dovrebbe essere riferito a un pontefice, da Celestino II, che fu in carica negli anni 1143-1144, fino a Francesco, venendo ai giorni nostri. Autore dei motti sibillini sarebbe, secondo la tradizione, San Malachia, un vescovo irlandese vissuto intorno alla metà del XII secolo che avrebbe ‘detto la sua’ su tutti i pontefici delle ere successive, fino all’ultimo appunto.

I SOPRANNOMI DEI PAPI, C’È ANCHE QUELLO DI FRANCESCO

Per esempio, uno dei motti è “Comes signatus” (conte segnato), riferito a Innocenzo III; un altro è “Lumen in coelo” (Luce in cielo), che corrisponde a Leone XIII, papa nell’800. La profezia non indica quindi i nomi dei pontefici, ma li identifica con dei motti in latino, le interpretazioni successive hanno poi associato i motti ai papa. Il primo motto sarebbe riferito quindi a Celestino II, pontefice dal 1143 al 1144, il penultimo invece proprio a papa Francesco con le parole “In persecutione extrema S.R.E. sedebit“, ovvero “siederà durante l’ultima persecuzione della santa romana chiesa”. Ma non è tutto qui: le parole profetiche sosterrebbero che a Francesco seguirà l’ultimo Papa della storia, Petrus Romanus, perché poi ci sarà la fine del modo. Speriamo si sbagli o per lo meno, per scansare ogni rischio, che l’eletto dal Conclave non si chiami o non scelga di chiamarsi proprio ‘Pietro’ (tra l’altro è anche il nome del primo papa riconosciuto della storia della Chiesa, San Pietro appunto).

NULLA DA TEMERE, LA PROFEZIA SAREBBE UN FALSO

A dirla tutta, oggi gli studiosi concordano sul fatto che la cosiddetta “profezia” sia un falso del ‘500, probabilmente scritto per motivi molto terreni, ovvero influenzare il conclave del 1590. Nulla da temere, quindi. Ci rassicura a riguardo anche Geopop, la nota piattaforma di divulgazione scientifica diretta dal geologo Andrea Moccia, che ricostruisce l’origine della fonte della profezia. E ci dice che “la cosiddetta profezia di Malachia, il cui titolo è “Profezia sui sommi pontefici di San Malachia vescovo”, è un breve testo risalente, secondo la versione “ufficiale”, al XII secolo”. A pubblicarla fu qualche secolo dopo, nel 1595, il benedettino francese Arnoldo Wion, nel suo libro “Lignum Vitae” del 1595. “Lui identificò l’autore in San Malachia, sostenendo che il testo risalisse al XII secolo”, prosegue l’articolo di Geopop, non senza poi aggiungere che “in realtà, la profezia di Malachia è un falso storico”, anche perché “non è considerata un’autentica profezia di San Malachia, che in realtà visse nel X secolo”.

LE INCONGRUENZE DELLA PROFEZIA DEI PAPI

Non solo a far propendere per questa tesi vi sarebbero molti elementi: “Anzitutto, non è mai stato trovato il testo originale e, prima della pubblicazione di Wion, nessuno aveva mai parlato della “profezia”. Inoltre “la lista di motti contiene numerose incongruenze”. Dieci motti, stando all’identificazione data dal domenicano Alfonso Chacón, che li associò ai papi eletti fino al 1580, cioè da Celestino II a Urbano VII, “contengono riferimenti precisi e inequivocabili a una specifica persona”. Per esempio, il primo motto dell’elenco è Ex castro Tiberis, cioè dal castello del Tevere, e si riferisce a Celestino II, nativo di Città di Castello; il motto relativo a Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, è De capra et albergo, perché prima dell’elezione Piccolomini era stato segretario dei cardinali Capranica e Albergatti.
Al contrario, “i motti degli anni successivi al 1580 sono molto vaghi e possono essere interpretati in tanti modi diversi”. E si fa l’esempio del motto associato a Giovanni Paolo II “De labore Solis” (Della fatica del Sole) per una qualche riferimento alla sua provenienza, la Polonia, paese dell’est Europa. O si parla di altri ancora più vaghi come “Vir religiosus” (Uomo religioso) e “Peregrinus apostolicus” (Pellegrino apostolico) o ancora 2De bona religione” (Della buona religione): insomma “definizioni che potrebbero adattarsi a qualsiasi pontefice”.

“I MOTTI FUNZIONANO COME GLI OROSCOPI”

“La spiegazione di tale difformità” confermerebbe che “la profezia non è un testo del XII secolo, ma è stata scritta verso la fine del ‘500″, per cui i motti dei pontefici fino al 1590 sono stati scritti “dopo” le varie elezioni, e di conseguenza sono precisi”, spiega Geopop. Diversamente, “quelli relativi ai papi successivi, sono stati scritti “prima”, quando non si conosceva ancora quali sarebbero stati i pontefici, e sono perciò interpretabili in tanti modi diversi”. In questo modo “funzionano un po’ come per gli oroscopi che propongono ‘previsioni’ talmente ambigue che ognuno può interpretarle nel modo che preferisce”: gli esperti di Geopop risolvono così definitivamente la questione della non-attendibilità della profezia, motivando anche l’origine del testo. “Probabilmente serviva per influenzare i conclavi e favorire l’elezione di determinati candidati”.

Si può tirare un sospiro di sollievo, dunque. Ma non del tutto: “È curioso- aggiungono alla fine i divulgatori scientifici- infatti che uno dei cardinali papabili del prossimo conclave si chiami proprio Pietro: il cardinale Parolin, segretario di stato della Santa Sede”, e sarebbe in questo caso il suo nome di battesimo, non quello che potrebbe scegliere in caso di elezione papale. Insomma, il pericolo della fine del mondo è scampato, ma solo se non si è un po’- inevitabilmente- superstiziosi.

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