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Le 6 incredibili sentenze che incoraggiano la violenza

Genova, Bologna, Roma, Ancona, Palermo. Cinque città italiane, cinque città nei cui tribunali sono state emesse sentenze che lasciano aperta la porta al ‘crimine libero’. Prima di elencarle, queste pene inflitte con gran spregio dell’impatto sociale, della pessima ricaduta in termini di fiducia nella Giustizia italiana (ma sono già note) soffermiamoci sul danno che possono produrre nelle menti di chi ha propensione alla violenza.

Viviamo tempi in cui ciascuno di noi può rischiare di morire di morte violenta. Basta un niente: un parcheggio rubato, una lite tra vicini, uno sguardo d’ammirazione a una donna, una relazione clandestina, e rimani ucciso dalla furia incontenibile di qualcuno.

Immaginiamo di essere questo ‘qualcuno’. Immaginiamo di covare odio, risentimento, verso il singolo o la società in genere. Per logica, per autotutela se non per generosa salvaguardia dell’altrui incolumità,  va represso questo sentimento. Temere che un gesto inconsulto, un crimine, possa portarci in carcere, sulla scorta di una condanna esemplare, dovrebbe reprimere ogni istinto omicida o comunque violento. Dovrebbe.

Immaginiamo, noi potenziali assassini o stupratori, che aprendo un qualsiasi quotidiano scopriamo che:

Ecco quello che apprende un potenziale assassino o stupratore leggendo un giornale. Scopre che tutto sommato, se il gioco vale la candela, farsi qualche anno di carcere val pure la soddisfazione di togliere di mezzo chi odi o ti fa star male, tanto la carta della ‘tempesta emotiva’ ormai è vincente. E lo stupratore represso scopre invece che se abusa di una ragazza brutta, magari con un amico perché “mal comune è mezzo gaudio”)  può persino essere assolto.

Questi elencati sono soltanto gli ultimi casi di sentenze inique, alcune incredibili, riportati dalla cronaca. Ma sappiate che ne seguiranno altre di simili. Perché l’indirizzo, che risale al 2016, è che gli “‘stati emotivi e passionali’ possono essere usati come attenuanti”.

In pratica, come le recenti sentenze lasciano credere, siamo tornati alle attenuanti del delitto d’onore. Ricordiamolo il vecchio articolo 587 del codice penale: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”.

Le disposizioni sul delitto d’onore furono abrogate con la legge n. 442 del 10 agosto 1981.

Ma oggi pare essere stata ‘abrogata l’abrogazione’. Pare essere venuta meno l’efficacia della ‘condanna giusta ed esemplare’. Un paradosso? Forse. E allora pensino, i giudici,  prima di emettere sentenze che, sì, queste saranno pure insindacabili da parte del popolo, ma nei fatti avviano una spirale di violenza che deve far paura.

E questi giudici, poi, meditassero sul fatto che non muoiono o vengono stuprati solo i figli degli altri.

Patrizia Vita