di Bruno Grotto

Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, si muove tra le lingue come tra i registri della polifonia sacra: con naturalezza, con orecchio fine, con una grazia che è frutto di studio e immersione profonda. Inglese, spagnolo, italiano, francese, portoghese: li parla con la scioltezza di chi non traduce, ma vive ogni lingua come casa propria.

Il latino gli è familiare come una partitura antica, il tedesco lo attraversa come un contrappunto rigoroso, e lui ne segue le linee con sobria agilità. Non si tratta solo di erudizione. In lui la competenza linguistica è carne e vocazione, maturata nelle frontiere del mondo: nato a Chicago, figlio dell’America meticcia – francese, italiana, spagnola – è divenuto cittadino del Perù, là dove ha servito a lungo come missionario e pastore.

La sua parola si è nutrita nel dolore delle periferie, dei dialetti dell’anima, delle attese dei poveri. E oggi, in un tempo in cui la Chiesa cerca di ritrovare l’accordo tra le sue tante voci, Papa Leone XIV si presenta come interprete sensibile di un’umanità plurale. Non solo “parla” le lingue: le ascolta, le accoglie, le mette in dialogo.

È forse questa la sua vera vocazione spirituale e musicale. Senza dimenticare che è un matematico e un filosofo a pieni voti.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia