Ghiacciai che si ritirano, montagne che si sgretolano. Non ci voleva il crollo del ghiacciaio del Birch dello scorso 28 maggio -che ha travolto il villaggio di Blatten, nel cantone svizzero del Vallese- per capire che la crisi climatica può avere degli effetti devastanti, ma quanto avvenuto al di là delle Alpi impone una riflessione sulla frequentazione in sicurezza delle montagne da parte di alpinisti e appassionati della quota. “Quello che è successo in Svizzera è un evento limite- spiega Piero Carlesi, presidente del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano che, su questi temi, lavora in stretto contatto con il Comitato glaciologico italiano- l’aumento delle temperature causate dal cambiamento climatico porta a una minor tenuta dei corpi rocciosi in alta quota tenute insieme dal permafrost, che si comporta come un collante. Con le alte temperature questo si fonde e possono verificarsi delle frane” che, nelle vallate di montagna, “saranno sempre più comuni”. Per il presidente del Comitato scientifico centrale del Cai, in Italia al momento non si può parlare di casi analoghi a quello svizzero: “La situazione più vicina anche se differente a quella di Blatten potrebbe essere quella della Val Ferret a Courmayeur dove tanti ghiacciai pensili sono aggrappati alla roccia ma sicuramente sono monitorati. L’importante è che le frane possano avvenire in luoghi in cui non ci siano centri abitati”. L’unica certezza di fronte alle montagne che cambiano è la maggiore attenzione richiesta a chi pratica l’alpinismo. “Alla Capanna Margherita, sul Monte Rosa, a 4.500 metri di quota, nelle scorse settimane sono stati misurati sette gradi in pieno giorno- prosegue Carlesi- questa temperatura fa capire che la neve appena caduta si fonde subito e il ghiacciaio non solo si accorcia ma soprattutto si appiattisce”.

Chi affronta l’alpinismo su ghiaccio “si trova quindi ad avere molti più crepacci scoperti perché con le alte temperature molti ponti di neve che normalmente sopravvivevano anche durante l’estate ora scompaiono subito e ciò richiede più attenzione”. Con il ritiro dei giganti bianchi, cambiano anche gli itinerari e la loro difficoltà. “Molte vette e molti rifugi che potevano essere raggiunti più facilmente risalendo dei pendii glaciali ora non lo sono più perché il ghiaccio è scomparso o si è ridotto lasciando il posto alla roccia. Pertanto anche le descrizioni delle vie alpinistiche che troviamo nelle guide non sono più aggiornate in tempo reale e molto spesso al posto del ghiaccio troviamo placche di roccia da dover superare con più attenzione rispetto al procedere sul ghiacciaio con piccozza e ramponi”. Situazioni che chi è iscritto al Cai ha imparato ad affrontare grazie a degli appositi corsi di formazione. “Abbiamo corsi di alpinismo per arrampicata sia su ghiaccio che su roccia. I nostri iscritti sono alpinisti preparati da istruttori nazionali di alpinismo e sicuramente sanno affrontare nel modo giusto la montagna”, spiega Carlesi. Che consiglia, di rivolgersi alle guide alpine del territorio prima di affrontare una salita per “raccogliere anche all’ultimo momento indicazioni e consigli per muoversi in sicurezza”. Anche perché c’è sempre chi s’improvvisa frequentatore dell’alta quota, avventurandosi sul ghiacciaio con le scarpe da ginnastica. “Questo è un fenomeno sempre più diffuso perché la montagna ormai è concepita come un luna park- aggiunge il presidente del Comitato scientifico centrale del Cai- i sindaci dei Comuni al di là dei confini hanno dettato norme molto severe con multe e divieti qui in Italia questo non avviene ancora”.

Per il Club alpino italiano, la sicurezza e la formazione vanno a braccetto con il monitoraggio. Per questo, da qualche anno, insieme al Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, ha lanciato il progetto della rete dei rifugi sentinella del clima e dell’ambiente che ha previsto l’installazione di 29 centraline meteoclimatiche nei rifugi delle Alpi e degli Appennini per la raccolta di dati relativi, ad esempio, alla temperatura, all’umidità, al vento e alla luminosità. “Nei prossimi anni avremo così dei dati per poter fare degli studi”, dice Carlesi, ricordando come proprio grazie a una di queste centraline dotata di webcam e installata al rifugio Citelli si è potuta immortalare in tempo reale la recente eruzione improvvisa di un piccolo cratere dell’Etna. Oltre a raccogliere dati per studiare il futuro, il ritiro dei ghiacciai può diventare un’opportunità per ricostruire il passato. In quest’ottica, il Comitato scientifico centrale del Cai ha lanciato, insieme ad altre organizzazioni e associazioni che si occupano di montagna, un appello a chi frequenta l’alta quota e dovesse trovare lungo gli itinerari manufatti o oggetti appartenuti ad alpinisti del passato riemersi dai ghiacci. “Chiediamo di avvisare chi di dovere -guide alpine, guardie forestali, Carabinieri – per evitare che vadano dispersi o che qualcuno se li porti a casa. Bisogna assolutamente fare in modo che questi oggetti vengano conservati nei musei per farli vedere al pubblico, visto la loro importanza storica e archeologica”.

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