Schio. “Finché c’è vita c’è speranza.”. Inizia così l’ultimo libro di Don Ciotti “La Speranza non in è vendita” , presentato ieri sera a Schio, dallo stesso autore alla cooperativa al Ponte che sarà da oggi il Presidio Altovicentino “Libera”, l’associazione che si occupa dei beni confiscati alle mafie.
Don Ciotti è già seduto finché il capannone si riempie all’inverosimile. Cinque-seicento persone, ma fuori la folla continua a radunarsi davanti al portone. Viene allestito anche un maxi schermo per chi non riuscirà ad entrare. E sono tanti. Tanto è infatti il desiderio ed il bisogno di speranza in questi tempi. Don Ciotti non delude. Presentato da Don Telattin parla agli uomini ed alle donne di tutte le età presenti in sala come chi conosce da tempo l’animo umano. Lo ha conosciuto nei suoi 45 anni di attività del gruppo Abele e non solo: in periferia, nei marciapiedi, in carcere. E’ perché Don Ciotti conosce bene “gli ultimi” che le sue parole hanno il potere di scuotere tanto gli uomini di fede che i laici.
Il suo esempio di vita gli permette di parlare con credibilità e lucidità dei mali dell’attuale società: la criminalità organizzata, la politica corrotta, la decadenza sociale. Don Ciotti non fa sconti a nessuno e richiama le zone d’ombra perfino della stessa chiesa. Sottolinea alcuni obiettivi non realizzati dal Concilio Vaticano II di cui si sta festeggiando l’anniversario.
In un’ipnotica affabulazione racconta le vicende e testimonianze di mafia: “Quel prete non era dalla parte della mafia pertanto è stato ucciso” depone un mafioso ad un giudice. Don Ciotti, sconcertato si e ci interroga: “Ma allora ci sono preti a favore della mafia?”
Tuttavia, Don Ciotti ammonisce “indignarsi non basta più, rischia di diventare una moda” tuona con vigore, “occorre darsi da fare” e suggerisce “occorre ridare dignità alla vita anche nei nostri gesti quotidiani. Noi siamo la speranza”
Ognuno di noi ha il dovere di impegnarsi, ha il potere di fare la sua parte anche le istituzioni certo, ma non è necessario un “decreto anticorruzione” sarebbe sufficiente rispettare la Costituzione Italiana.
Con autentico affetto si rivolge alle giovani volontarie poco più che adolescenti, che, ad inizio serata si sono prodigate nel presentare l’associazione: “siate sempre voi stesse. Voi siete la speranza!” ed inizia a raccontar loro, ed ai presenti, le azioni di chi ha dato tutto contro la mafia: Pio la Torre, a cui si deve l’attuale legge che prevede il riutilizzo per fini sociali dei beni confiscati alla mafia; Don Puglisi, il prete “scomodo” di Brancaccio, barbaramente assassinato, e gli uomini “di stato” simbolo della lotta antimafia: Il generale Dalla Chiesa ed i magistrati Falcone e Borsellino. Con enfasi Don Ciotti non dimentica l’appello di Papa Paolo Giovanni II che dalla valle dei Tempi di Agrigento a sorpresa gridò ai mafiosi “convertitevi!”
Vola alto Don Ciotti e richiama Norberto Bobbio che teorizzava che non vi fosse cultura senza libertà ma non c’è libertà senza verità. Pertanto è fondamentale pretendere, soprattutto nei confronti dei parenti vittime della criminalità, verità sui crimini del nostro paese.
Nel fiume in piena di sagge parole di Don Ciotti concluse dalle canzoni di Davide Peron, il “prete coraggio” trova spazio perfino per scherzare: “Sono vissuto a Torino ma sono Veneto, provengo dalle dolomiti, dichiarate patrimonio dell’umanità, pertanto anch’io sono un piccolo patrimonio dell’umanità.” Scherza Don Ciotti ma forse, a ragione, più di qualcuno pensa che le sue parole, ciò che ha realizzato e la sua stessa vita sia davvero un patrimonio.
Alberto Brazzale
