Ha convinto tutti, tra applausi in piedi e ovazioni. Liliana Segre (cittadina onoraria di Schio) ha messo d’accordo la politica italiana, nel suo “primo giorno di scuola” al Senato. Toccava a lei, essendo la senatrice più anziana, ad aprire la seduta di Palazzo Madama e lo ha fatto con discorso forte, chiaro, tracciando la strada da seguire. Ha parlato di pace, di Shoah, di odio. È auspicabile superare ogni steccato politico è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico» è il monito della Segre. Perchè odio è tutto, non solo nella politica ma soprattutto nella vita di ogni giorno.

Una Segre visibilmente emozionata e che non lo ha nascosto nelle sue parole. Partendo dalla pace e dalla guerra in Ucraina e dalle leggi razziste del 1938. «La pace è urgente e necessaria – dice la senatrice – la via per ricostruirla passa dal perseguimento di verità, diritto internazionale, libertà del popolo ucraino. Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della marcia su Roma e diede inizio alla dittatura fascista toca proprio a me assumere la presidenza di questo tempi o della democrazia è che il Senato della Repubblica. Il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché la scuola ai miei tempi iniziava a ottobre ed è impossibile per me non provare una specie di vertigine ricordando quella stessa bambina che in un giorno come questo nel 1938 sconsolata e smarrita fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco della scuola elementare. E quella stessa oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato». Poi invita al rispetto delle istituzioni, dove ciascuno, maggioranza e opposizione, dovranno fare la loro parte. «Le elezioni del 25 settembre – continua Segre – hanno visto come giusto che sia una vivace competizione tra forze che hanno presentate programmi alternativi e visioni contrapposte. Il popolo ha deciso, è l’essenza della democrazia. La maggioranza ha il diritto dovere di governare, le minoranze di fare opposizione. Comune a tutti l’imperativo di preservare la Repubblica e le sue istituzioni, che sono di tutti, non sono proprietà di nessuno. Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle espressioni partitiche, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, istituzioni rispettati, emblemi riconosciuti». Segre difende la Costituzione, vero riferimento per l’intero Paese. «In Italia – prosegue – il principale ancoraggio è la Costituzione repubblicana che, come disse Piero Calamandrei, non è un pezzo di carta, ma il testamento di 100 mila morti caduti nella lunga lotta per la libertà, che non inizia nel settembre 1943 ma che vide come capofila Giacomo Matteotti. II popolo italiano l’ha sempre sentita amica, e l’ha sempre difesa, perché se ne sentiva difeso. Naturalmente tutto è perfettibile, e anche la Costituzione può essere emendata, ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per correggere la Costituzione fossero state spese per attuarla il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice. Il pensiero scorre inevitabilmente all’articolo 3, nelle aule i padri e le madri costituenti non si limitarono a bandire le discriminazioni legati a sesso, condizioni sociali, politiche. Essi vollero anche lasciare il compito a tutta la Repubblica: rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la partecipazione di tutti all’organizzazione politia, economica e sociale del Paese. Non poesia, non è filosofia. Anche se abbiamo programmi diversi per perseguirlo, il compito è questo: rimuovere gli ostacoli. Le grandi nazioni si riconoscono anche intorno alle festività civili. Perché non dovrebbe essere così anche per noi? Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive, anziché con autentico spirito repubblicano il 25 aprile Festa della Liberazione, 1 maggio, Festa del Lavoro, 2 giugno, Festa della Repubblica. Anche la piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio».

Alessandro Ragazzo

 

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