Un’estate tragica si sta consumando sotto il cielo limpido delle Alpi e degli Appennini. Sentieri affollati, impreparazione, sfide estreme per un selfie e temperature torride a valle stanno trasformando la montagna in un teatro di morte. In poco più di un mese, 83 persone hanno perso la vita e 5 risultano ancora disperse. È come se ogni giorno, in silenzio, la montagna si prendesse tre vite. Maurizio Dellantonio, presidente del Soccorso Alpino Nazionale, lancia un allarme che non lascia spazio ai dubbi: «Siamo oltre ogni limite, non ricordo un’estate così drammatica».

Secondo quanto riportato da Il Corriere della Sera, Maurizio Dellantonio, presidente del Soccorso Alpino Nazionale, ha espresso forte preoccupazione per l’alto numero di incidenti mortali in montagna registrati durante l’estate 2025. Dellantonio ha dichiarato che non ricordava un’estate con così tante vittime:  si contano 83 decessi e cinque dispersi, con una media di quasi tre incidenti fatali al giorno. Gli interventi di soccorso sono aumentati del 20% rispetto agli anni precedenti.

Dellantonio ha attribuito questa impennata all’elevato afflusso di persone sulle montagne. Ha spiegato che, con la chiusura delle scuole a metà giugno e le alte temperature nelle città, molti hanno scelto la montagna come rifugio, complice anche il bel tempo persistente in quota. Ha sottolineato che l’anno precedente la situazione non era paragonabile.

Richiamando quasi una visione profetica come quella descritta da Matteo Righetto nel romanzo I prati dopo di noi, Dellantonio ha osservato che l’umanità sembra in fuga verso le altitudini per sfuggire all’invivibilità delle città, ma ha evidenziato che il vero allarme riguarda il tasso di mortalità.

Secondo i dati, il 60% delle vittime sono escursionisti, spesso coinvolti in cadute o colpiti da malori. Molti si avventurano nonostante non siano in condizioni fisiche adatte. Il restante 40% è costituito da alpinisti, ciclisti e sportivi estremi come i paracadutisti. Dellantonio ha lamentato il fatto che molti non conoscano i propri limiti, raccontando di casi eclatanti.

Tra gli episodi più recenti, ha citato quello di un cuoco trentenne soccorso in Val Senales: l’uomo aveva tentato di raggiungere Cima Palla Bianca, a 3600 metri, partendo di sera dopo il turno di lavoro. A 3100 metri, in piena notte, ha chiamato i soccorsi perché stava congelando: indossava solo scarpe da ginnastica.

Dellantonio ha spiegato che l’intervento del Soccorso Alpino può comportare un ticket a carico della persona soccorsa, con tariffe che variano a seconda della regione: in Trentino si parla di circa 750 euro a persona, in Veneto si può arrivare a mille, anche nel caso di recupero illeso. Tuttavia, ha aggiunto che la metà delle persone salvate si rifiuta poi di pagare, anche quando si tratta di interventi che hanno salvato loro la vita.

Ha raccontato anche di aver personalmente rimproverato, l’anno precedente, un uomo che aveva affrontato una via ferrata sopra Passo San Pellegrino con la figlia in braccio, senza imbracatura e con un salto di cinquanta metri sotto di sé. Dellantonio lo aveva contattato il giorno successivo per fargli notare la gravità dell’imprudenza.

Il capo del Soccorso Alpino ha commentato anche il tragico caso di un ragazzo di 15 anni ritrovato senza vita in Valle d’Aosta dopo essersi perso, sottolineando la responsabilità dei genitori e l’assoluta necessità di non affrontare la montagna da soli. Ha inoltre puntato il dito contro l’influenza negativa dei social, dove postare foto in cima a una vetta può indurre altri, anche inesperti, a tentare imprese senza la dovuta preparazione.

Infine, ha osservato che oggi molti giovani sembrano meno robusti e meno allenati rispetto alle generazioni passate, mentre un tempo era più comune che prima di partire si chiedessero informazioni sui sentieri. Ora, invece, pare che ammettere impreparazione venga vissuto come un’umiliazione.

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