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Violenza sulle donne, un decalogo con le parole da non dire più

Le parole pesano più delle pietre e usarle in modo improprio può fare male. Ancor più se un linguaggio sbagliato viene utilizzato per descrivere la violenza contro le donne. Per aumentare la consapevolezza e aiutare i professionisti dell’informazione a trovare sempre le parole giuste, è stato messo a punto un decalogo di stereotipi e luoghi comuni da non usare quando si racconta la violenza di genere. Nato in occasione della tappa fiorentina del progetto “Stop alla violenza di genere.

Formare per fermare”, promosso dal Gruppo Menarini e accreditato dall’Ordine dei Giornalisti della Toscana presso l’Ordine dei Giornalisti Nazionale, l’elenco delle parole da bollino rosso è uno strumento pratico per parlare di violenza sulle donne in modo appropriato. Pensato per aiutare i media ma anche l’opinione pubblica ad affrontare il tema in maniera opportuna. Nel decalogo contro gli stereotipi diventano da bollino rosso espressioni come ‘amore malato’, ‘raptus’, ‘lei lo tradiva’, ‘se l’è cercata’, ‘perchè lei non lo ha lasciato?’, ‘era un bravo ragazzo, un padre buono’, ‘follia’, e poi le informazioni su come era vestita, i particolari raccapriccianti, l’indicazione sul tipo di ferite.

I dati che spesso sottovalutiamo

In Italia nel 2018 sono state uccise 69 donne, 7 milioni quelle che pur non avendo perso la vita sono state picchiate, maltrattate o violentate. Dal 2000 a oggi si è consumata una strage con 3.100 vittime. “Le parole possono far seguire alla violenza fisica, che segna per sempre, una violenza psicologica che non si rimargina”, osserva Alessandra Kustermann, direttore dell’Uoc del pronto soccorso Ostetrico-ginecologico e del Soccorso Violenza Sessuale e Domestica del Policlinico di Milano. Che spiega: “Usare le parole giuste fa sì che l’opinione pubblica percepisca il fenomeno per come è davvero. Lo straniero solo raramente è l’aggressore, quando i media sottolineano l’etnia dell’aggressore, invece che la violenza inaccettabile che è stata subita dalla donna, spostano l’attenzione sulla diversità anziché sull’omogeneità dei comportamenti”. “Il problema – sottolinea – non è legato alla cultura del singolo autore di una cronaca, ma a una pericolosa concezione dei rapporti di forza tra uomini e donne: mariti e compagni sono nel 70% dei casi i responsabili della violenza. La violenza di genere ci riguarda ed è trasversale a tutte le culture, le classi sociali, le etnie e le religioni. È una forma di razzismo contro le donne che accomuna e non divide”.

Sull’argomento interviene anche Vittoria Doretti, direttore Uoc Promozione ed Etica della Salute e Responsabile della Rete Regionale Codice Rosa della Regione Toscana: “La lettura morbosa dei fatti finisce per minimizzare un reato gravissimo. I dettagli scabrosi che non aggiungono nulla alla cronaca, spostano l’attenzione dell’opinione pubblica sulla vittima, anziché sulla ferocia dell’aggressore – sottolinea – soffermarsi su ‘come era vestita la vittima’ o descrivere in dettaglio le ferite è come sottoporre le donne a una seconda violenza”. (ansa)