Calvene piange il medico del paese Giorgio Cavaliere, 87 anni e la sua scomparsa ha creato un clima di lutto toccante nel piccolo comune dell’Alto Vicentino. “Curava con l’umanità prima che con i farmaci”, – lo ricorda don Marco Pozza, che lo conosceva bene ed ha espresso nei suoi confronti parole di grande apprezzamento professionali.

Le riportiamo testualmente:

“La sua Punto grigia, al mio paese – ch’è paese di mezza montagna –, non era soltanto una macchina. Era tutto un mondo in una macchina: fungeva d’ambulanza, era elicottero di quelli che soccorrono in quota, carro attrezzi per l’emergenza, taxi per chi necessitava di un passaggio. Quando la vedevi parcheggiata davanti alla casa di qualcuno, sapevi con certezza che in quella casa stava visitando il dottore: il “dottore di base” come lo si chiamava prima che la medicina di base cessasse di esistere e “medico di base” diventasse quasi una diminuzione della medicina. Dopo il tempo in ambulatorio, lui passava di casa in casa, a visitare quelli che non ce la facevano a raggiungerlo in piazza, dove riceveva. Era un signore composto il nostro “dottore”: concedeva l’amicizia senza abbassarsi di stile, ti dava del “lei” facendoti percepire il calore del “tu”, quando t’incontrava al bar ti faceva il cenno di entrare prima tu di lui. In chiesa, sedeva sempre in ultima posizione: era restio ai posti riservati. Visse sempre armato, dell’armatura della quale era innamoratissimo: lo sfigmomanometro, lo stetoscopio, un termometro, il glucometro. Ricordo, quando veniva dai miei nonni, che nella sua borsetta teneva sempre qualche farmaco a disposizione: per via orale, sottocutanea, intramuscolare. Quand’usciva dalle case, spesse volte, caricava in macchina prodotti della terra e del lavoro dell’uomo: uova, pomodori, radicchio, insalata, qualche pezzo di carne. Era il grazie spontaneo della nostra gente per la sua umana professionalità. Quella non calcolata nello stipendio.
Venuto da fuori – era un “foresto” in paese – prese casa tra le nostre case: un gesto, questo, che lo fece diventare dei “nostri”. Per lui, all’ospedale si andava solo in casi estremi: agli esami di laboratorio lui preferiva l’ascolto del paziente. Non è mai stato uno specialista di un solo pezzo del corpo umano, ma era certo che conoscesse l’interezza della persona. Più di qualcuno, al mio paese, giura di essere stato guarito da una sua parola più che da una dose di farmaco: in casi così si scopre che l’uomo vale molto più del professionista che è. Per noi, comunque, è sempre stato “il dottore”, l’uomo che quando chiamavi preoccupato ti sentivi dare come risposta: “Finito l’ambulatorio, passo: stia tranquillo”. La lista del dopo-ambulatorio, nello scorrere del tempo, batteva a tavolino quella dei clienti fuori dalla porta. Quando, poi, appendeva il cartello con il quale annunciava che sarebbe andato un po’ in ferie, i pettegoli si vestivano per andare a nozze: “Sarà andato alle Maldive, alle Seychelles, o forse nel Medio Oriente”. Mète che per noi, gente di paese, somigliavano all’andare sulla Luna. Conobbi alla scuola elementare, quando un giorno le mie amate maestre lo invitarono a raccontarci la sua storia, che lui le vacanze le passava in quella splendida terra ch’è l’Eritrea, ad Asmara: lì, all’insaputa di tutti, spendeva le sue ferie nell’ambulatorio di un orfanatrofio per visitare i bambini che versavano in uno stato di febbrile urgenza. Quando in paese lo si seppe, più di qualcuno avrebbe voluto tagliarsi la lingua. Fecero di più: ogni tanto si raccoglievano offerte per “i bambini del dottore”. Quelli che lui, in Africa, curava trasformando la sua professione in una vacanza segreta.
Entrai nel suo ambulatorio, la prima volta, che avevo sette anni. Mia madre, disperatissima: “Dottore, mi dia qualche pastiglia perchè mio figlio non riesce a stare seduto e fermo. Non sappiamo più che santo chiamare”. Mi guardò, mi ascoltò, mi visitò: ricordo la delicatezza del tatto, la dolcezza dello sguardo, la gentilezza delle parole. Poi, finito, guardò mia madre: “E’ un bambino sanissimo, signora, non servono pastiglie. Gli regali una bicicletta: lo aiuterà a formarsi bene il carattere”. Niente pastiglie, nessun farmaco, zero ricette: solo il buon senso di incanalare l’irruenza senza umiliarla. Ancora oggi, quando inizio la salita del Monte Corno – il nostro piccolo Stelvio – getto uno sguardo alla “casa del dottore” e gli faccio l’occhiolino. Non avesse perso tempo ad ascoltarmi e si fosse fidato dell’ansia di mamma, chissà dove mi avrebbero portato i farmaci coi quali volevano provare ad imprigionare la mia infanzia vivacissima.
Oggi le campane hanno suonato lente: “E’ morto il dottore” si è sparsa la voce. Aveva quasi novant’anni, ma è sempre rimasto il nostro dottore, anche dopo la pensione: l’uomo si era fuso nel mestiere che ha amato. Che l’ha fatto amare. Grazie “dottor” Giorgio (Cavaliere): lei è stato un testimone del nostro tempo. Al nostro paese non sarà mai dimenticato”.

Anche l’amministrazione comunale di Calvene ha ricordato il professionista, ringraziando il dottor Giorgio Cavaliere per la cura di chi ha avuto il privilegio di essere seguito da lui.

I funerali si terranno mercoledì 6 agosto alle 10 nella chiesa arcipretale di Calvene.

di redazione AltovicentinOnline

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