di Federico Piazza

La partita dell’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti non è chiusa, perché ci sono diversi dettagli da definire. E per qualcuno i dettagli possono cambiare tutto. Fiducia in tal senso è espressa da Massimo Carboniero, titolare della Omera di Chiuppano che produce macchine per la lavorazione della lamiera e per la quale l’America è il terzo mercato per vendite con clienti che spaziano dai fabbricanti di casalinghi ai dispositivi di riscaldamento.

Una delle categorie di beni su cui è probabile che si interverrà è proprio quella dei macchinari industriali. «Diverse tipologie di tecnologie potrebbero essere verosimilmente esentate dai dazi al 15% – osserva Carboniero, che è stato presidente di Ucimu, l’associazione confindustriale dei produttori di macchine utensili, robot, automazione e prodotti ausiliari – perché altrimenti l’aggravio di costo su questi investimenti diventerebbe insostenibile proprio per la manifattura Usa impegnata in sforzi di ampliamento e ammodernamento degli stabilimenti». Gli americani sono infatti i primi importatori al mondo di sistemi per la produzione industriale poiché in questo ambito non hanno oggi grandi capacità e competenze interne. Le istanze sui dazi applicati a macchinari e apparecchi industriali di vario tipo sono particolarmente forti in Veneto. Il settore, nel suo articolato insieme, rappresenta infatti la prima voce dell’export regionale negli Stati Uniti, pari a circa un quarto del totale per oltre 1,6 miliardi di euro di valore nel 2024. Ma secondo Adacta Tax & Legal, società di consulenza business di Vicenza che si occupa anche di internazionalizzazione delle imprese, se da agosto ci fosse stabilmente un dazio americano del 15% senza esenzioni, oltre il 10% del fatturato complessivo delle aziende venete di settore nel mercato a stelle e strisce potrebbe essere perso. Cioè, svanirebbero 185 milioni di euro di vendite rispetto ai 1.648 milioni realizzati nel 2024. Adacta l’ha calcolato incrociando i dati Istat sull’export veneto e i risultati del recente studio Ue “Euro Area Risks Amid US Protectionism” che analizza le possibili conseguenze delle variazioni dei prezzi a causa dei dazi sull’elasticità della domanda interna Usa in diversi comparti merceologici. Con l’aliquota al 15% il valore totale dell’export regionale negli Stati Uniti calerebbe del 10%, perdendo 716 milioni di euro rispetto ai 7,1 miliardi del 2024. Ma l’impatto non sarebbe omogeno: per esempio, l’orafo-gioielliero di Vicenza sarebbe colpito meno di agroalimentare e macchinari. Il giudizio generale di Carboniero sull’accordo quadro raggiunto in Scozia è negativo, viste le molte concessioni fatte alla controparte e i pochi risultati portati a casa a tutela degli interessi europei.

«Per le macchine utensili – sottolinea l’imprenditore, che a settembre volerà negli Usa in occasione di un’importante fiera e incontrerà alcuni vertici d’associazione degli industriali americani – gli Stati Uniti rappresentano il 17,5% dell’export italiano. L’aumento dei dazi al 15% rispetto a circa il 5% sinora applicato nella nostra categoria merceologica e la svalutazione negli ultimi tempi del dollaro rispetto all’euro comportano un aggravio fino al 30% sull’export. Ma la marginalità nel nostro settore non consente grandi spazi per assorbire l’aumento dei prezzi sul cliente finale. Inoltre, non so quanto la Commissione Ue sia oggi in grado di trattare con il governo Usa per ottenere condizioni migliori in alcuni ambiti. Tuttavia – sostiene Carboniero – siamo fiduciosi che a chiedere all’amministrazione Trump un’esenzione sulle tecnologie industriali saranno proprio le aziende manifatturiere americane che hanno bisogno di investire in sistemi produttivi avanzati che gli Stati Uniti devono necessariamente importare perché non li producono». Nei prossimi mesi, o già nelle prossime settimane, vedremo quindi quanto l’economia reale nelle due sponde del Nord Atlantico aggiusterà i dettagli dell’accordo commerciale Usa-Ue.

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