Le difficoltà di cassa non risparmiano nessun club professionistico, dalla Serie A alla C.
Ne sa qualcosa anche il patron di Diesel Renzo Rosso, che dopo sette anni da quando a giugno del 2018 annunciò di avere rilevato con la sua holding OTB il Vicenza Calcio, dichiarato fallito, il bilancio della sua avventura sportiva resta ancora fortemente in negativo.
Si sa chiaramente che le spese per il calciomercato e per gli ingaggi di giocatori, tecnici e staff, pur variando in intensità tra i club e le categorie, assorbono una quota rilevante delle risorse disponibili.
Come è stato riportato dalla testata giornalistica on line affariitaliani.it, l’esercizio di L.R. Vicenza chiuso al 30 giugno scorso e approvato pochi giorni fa, s’è chiuso infatti con una perdita di 7,2 milioni di euro, di poco inferiore a quella di 9 milioni del precedente bilancio. Durante l’esercizio è stato azzerato e ricostituito il capitale tramite il versamento complessivo di 5,2 milioni per cui il rosso residuale allo scorso giugno pari a 3,8 milioni è stato interamente coperto tramite utilizzo della riserva sovrapprezzo azioni. L.R. Vicenza è presieduta da Stefano Rosso, figlio di Renzo, e OTB come detto è socio di controllo con l’82,8%.
Un’altra nota dolente dei numeri della squadra di “Mister Diesel” arriva dai ricavi che sono seccamente diminuiti a 6,2 milioni dagli 8,4 milioni del precedente esercizio, calo da imputare alle minori plusvalenze che hanno riguardato solo la cessione all’Hellas Verona del difensore della Nazionale Christian Corradi. Segnali positivi giungono però dalla vendita di biglietti e abbonamenti (+7%) e dai proventi commerciali (+30%). Il futuro, però, non è roseo perché Rosso alla fine della relazione sulla gestione prevede che “anche l’esercizio 2025/2026 chiuderà in perdita”.
Un’ultima curiosità: l’azzeramento del capitale ha comportato l’uscita dal libro soci di un “vip” e vicentino “doc” come Paolo Scaroni. Il presidente di Enel e del Milan aveva infatti lo 0,78% della squadra di “Mister Diesel”.
Come accaduto al Vicenza nel 2018, anche il caso del Brescia di Massimo Cellino, finito in default a inizio giugno di quest’anno, è emblematico. Una vicenda complessa e dolorosa che ha visto il club lombardo, con 114 anni di storia alle spalle, passare, nel giro di poche settimane, dalla salvezza conquistata sul campo in Serie B al fallimento, tra penalizzazioni, accuse, mancati pagamenti e tensioni con le istituzioni calcistiche.
Ma il caso del Brescia non rappresenta una eccezione. Anche la Spal, storico club con un recente passato anche in Serie A, non ha trovato le risorse per iscriversi alla Serie C, ripartendo dall’Eccellenza con una nuova denominazione.
Se si allarga la prospettiva il dato è ancora più preoccupante: dal 2000 al 2024 sono fallite 185 società calcistiche italiane, tra cui il Parma in Serie A nel 2015 e sempre a stagione in corso. Un’emorragia.
Il vero nodo sembra essere culturale. Nel calcio italiano, la rincorsa al risultato sportivo prevale su qualsiasi altra logica. I club spendono più di quanto possano permettersi per conquistare promozioni o evitare retrocessioni. La cultura del pareggio di bilancio resta minoritaria, mentre il sistema si regge su fideiussioni, deroghe e ricorsi. In un contesto simile, parlare di industria del calcio è quasi un ossimoro. Finché il risultato immediato continuerà a prevalere sulla sostenibilità, i problemi non potranno che riproporsi ciclicamente.
di Redazione AltovicentinOnline
Stampa questa notizia




