“Stiamo assistendo a un lento ma inesorabile cambiamento, tra timide aperture e dolorose chiusure, in una battaglia per la sopravvivenza del commercio locale che richiede un’evoluzione, non solo una mera resistenza.” E’ questo il punto di vista di Andrea Retis, presidente del nuovo mandamento di Thiene Confcommercio, rispetto a ciò che sta accadendo negli ultimi anni al commercio thienese. Con voce preoccupata ma determinata, lancia un grido d’allarme che non può e non deve essere ignorato.

Retis affronta poi senza filtri la situazione della moria a Thiene, analizzando le sfide, le cause profonde e le possibili soluzioni per un settore in crisi ma non privo di speranza. Con un’analisi lucida e approfondita, il presidente espone le dinamiche che stanno erodendo la vitalità dei negozi locali, dal peso degli affitti sproporzionati ai volumi d’affari, alla concorrenza sfrenata dell’ecommerce, fino alla mancanza di un ricambio generazionale e di turismo nei centri storici.

Come vede la situazione commerciale di Thiene?

“Ci sono stati dei timidi segnali con delle nuove aperture, come una profumeria, un negozio di abbigliamento sartoriale che in reatà si è solo spostato e una catena di occhiali. Ci sono però due aspetti che prenderei in considerazione e il primo è che per capire qual è il problema e trovarne la situazione occorrerebbe forse un corso di laurea che duri quanto una magistrale. Secondo me non è finita qui, purtroppo a malincuore, potremmo incorrere in altre chiusure perché per certi aspetti non c’è il ricambio generazionale e in altri c’è poca attrattività perché, come ben sappiamo, manca il pubblico finale, nei centri storici sono sempre meno gli abitati e le attività di servizio restano in vita se c’è chi si serve di loro.”

Quindi, dato che l’utenza finale difficilmente arriva all’attività, pensa sia importante creare ecommerce o avere un proprio sito internet?

“Questi strumenti, da chi è più strutturato a chi si improvvisa, cerca di utilizzarli. Ma avere comunque una gestione professionale con dei social media marketing che seguano queste attività, ha un costo importante come avere un dipendente, si parla di migliaia di euro all’anno. Non tutti sono in grado di sostenere queste spese. L’aspetto principale è che è stata sbagliata la programmazione più di venti anni fa, perché le liberalizzazioni hanno portato purtroppo a questa situazione e qui è colpa di chi, negli anni precedenti, ha deciso di liberalizzare. Negli anni ’80 e fino alla metà degli anni ’90, le attività erano regolate da tabelle merceologiche e le autorizzazioni venivano rilasciate da una commissione del commercio istituita da varie figure, si formava un tavolo di concerto che lavorava in ambito amministrativo e commerciale. Quindi se volevi aprire un panificio, un’erboristeria, un negozio di occhiali o bar, c’era la commissione che si riuniva e decideva se in quel comune c’era lo spazio per nuove attività e quanta distanza doveva avere rispetto all’altra, per dare la possibilità a tutti di poter vivere. Il commercio non era influenzato dall’ecommerce e i centri storici erano prettamente utilizzati, c’è da dire che avevano anche una viabilità molto diversa perché non tutti erano chiusi. La liberalizzazione, aggiunto l’ecommerce e i centri commerciali, ipermercati e supermercati ad ogni angolo, hanno portato a questa situazione. Il commerciante sta cercando di sopravvivere.”

Pensa che ad oggi gli affitti siano ancora troppo alti e che possano compromettere il commercio?

“E’ vero, gli affitti sono alti, sproporzionati rispetto ai volumi di affari che ci sono oggi, però il canone di locazione non è importante se lavori, è un costo che viene assorbito. Ma quando hai un canone alto e non si lavora più si fa fatica, è un cane che si morde la coda.”

Cosa può fare quindi il commerciante?

“Cerchiamo di essere sempre pro positivi, come associazione ci siamo. Anche per le associazioni di categoria a livello nazionale avrebbero dovuto fare nel passato delle barricate rispetto a determinate aperture, ma oggi abbiamo questa situazione e ci dobbiamo convivere. Ad un problema quindi, cerchiamo di trovare una soluzione senza crearne altri. Per il passato non si può più far niente, dobbiamo guardare il presente per un futuro migliore.”

Definito il fatto che sia un costo importante per un’attività avere strumenti tecnologici online, pensa ci sia della responsabilità da parte del commerciante ‘tradizionalista’ che crede ancora che il suo compito sia avere qualità ed alzare la serranda ogni giorno?

“Ci sono dei commercianti che sono destinati, per il loro limite di età, ad arrivare naturalmente al loro fine corsa. Saremo costretti a vedere, per questo, ulteriori chiusure. Citando Darwin: “Al cambiamento sopravvive non chi è più forte o più intelligente ma chi sa adattarsi”. Quindi non credo che sia tutto oscuro, al momento stiamo assistendo alle saracinesce abbassate ma ci sarà un’evoluzione della specie e le persone impareranno ad adattarsi all’evoluzione e al cambiamento. Tutti insieme poi, con le associazioni di categoria, amministratori e le parti in causa compresi i proprietari degli immobili, ci si dovrà far carico di questo problema che sta diventando anche sociale, perché vedere in un quartiere i negozi chiusi, è un problema sociale.”

Quindi possiamo definirlo un processo evolutivo, una sorta di ‘selezione naturale del commercio’?

“Chi non si saprà adattare sarà destinato all’estinzione. E’ comunque importante sempre fare squadra, fare gruppo, affrontare insieme il problema, le associazioni di categoria servono a dare supporto a queste iniziative. Perché se lavoro io che sono strutturato e ho la possibilità di pagarmi la gestione del marketing personalizzato è sostenibile, ma un piccolino può comunque appoggiarsi alle associazioni di categoria ed avere quindi un supporto per acquisire questi servizi a costi molto più contenuti. Magari più standardizzati, meno performanti per la sua attività, ma ci sono. Nulla è impossibile. Oltre a bandi, agevolazioni e altre opportunità, c’è il modo di migliorarsi.”

La nostra zona quindi non è più abbastanza attrattiva?

“No, c’è un aspetto importante da considerare. Abitiamo purtroppo in un’area che ha un PIL importante, ci sono migliaia di partite iva, ma manca il turismo. Le ultime statistiche hanno visto nel 2023 che il Garda, per le provincie Verona, Brescia e Trento, ha accolto 25 milioni di presenze di cui, solo per il Garda veronese, sono stati raggiunti 14 milioni di presenze. Venezia poi non ne parliamo. Noi abbiamo l’Altopiano di Asiago che è il nostro cavallo di battaglia: chi arriva da sud prende la A31 ed esce a Piovene per poi salire in Altopiano, chi arriva da nord, e la maggior parte dei nostri possibili clienti sono nordici, come i tedeschi, se fanno la Brennero arrivano prima al Garda o a Verona. Se fanno la Valsugana arrivano prima a Bassano. Quindi la nostra area al momento è chiusa da un punto di vista di viabilità. Il turismo porta lavoro e i negozi diventano attrattivi. Speriamo che con l’apertura del casello della Pedemontana di Montecchio Maggiore si possa portare un buon flusso di turisti.”

Potrebbe essere una valida proposta quella di creare un movimento che porti l’attenzione a livello nazionale, che smuova le acque come hanno fatto gli agricoltori con i loro trattori?

“I contadini fanno quest’azione di forza perché hanno i campi a riposo, ma nel momento in cui dovranno iniziare a lavorare i loro terreni credo che torneranno alla base. Noi possiamo lavorare con le associazioni in ambito politico per trovare soluzioni. Ma comunque la politica a livello locale non può fare molto, anche se hanno strumenti che potrebbero mettere a disposizione se avessero voglia di prendersi delle responsabilità. Ma l’Italia ha delle normative nazionali. Come associazione di categoria, sia a Vicenza che molto rappresentativa a Roma, sia territoriali e mandamentali, si danno tanto da fare. Ma ci sono tanti aspetti da valutare, molte dinamiche.”

Laura San Brunone

 

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