di Alex Cioni

Su Silvia Romano, la cooperante liberata dalla prigionia una settimana fa, se ne sono lette tante in questi giorni. L’aspetto che mi interessa rilevare attraverso queste righe, sono le esternazioni riportate da Destra e dintorni nei confronti della giovane convertita all’Islam. Non è mia intenzione difendere l’universo mondo delle Ong, verso le quali nutro una particolare diffidenza, soprattutto verso quelle organizzazioni che si prestano a fare da taxi nel Mediterraneo per trasbordare migliaia di migranti nel nome di un cosmopolitismo superato e antistorico che nei fatti alimenta gli affari delle organizzazioni criminali che sfruttano il canale dell’immigrazione irregolare.
Comunque sia, piacciano o meno le idee di Silvia o le motivazioni che l’hanno portata in Africa, ho motivo di credere che  la ragazza si fosse messa in gioco, abbandonando la vita comoda milanese, per fare qualcosa di concreto per “aiutare a casa loro” quelle stesse persone che spesso sono costrette ad emigrare dalle loro terre mettendosi  nelle mani di cinici mercanti di esseri umani.
Silvia probabilmente non ha fatto i conti con la realtà, o chi ce l’ha mandata non le ha spiegato che proiettarsi in situazioni così lontane e controverse comporta anche dei rischi. Eppure, chi come noi ritiene che l’unica via da percorrere per ridurre il flusso migratorio sia di aiutarli “a casa loro”, avrebbe dovuto essere più lucido prima di chiudere la vicenda con qualche infelice battuta, come per altro se ne sono lette tante anche sui social network. Per queste ragioni penso che a Destra qualcuno dovrebbe schiarirsi le idee, abbandonando un approccio da tifoseria che si riduce in un linguaggio da osteria che attrae sicuramente facili like su Facebok ma che non dovrebbe in alcun modo avere cittadinanza per chi è cresciuto con un’idea di Destra (sociale) che dovrebbe essere altra roba non solo nei contenuti ma anche nello stile.
Detto questo, per spiegare meglio il mio punto di vista, riporto le parole di Franco Nerozzi, fondatore della Comunità Solidarista Popoli, persona impegnata da anni in Birmania a sostegno del popolo Karen. Uno che sa di cosa parla e che sa cosa vuol dire aiutarli a casa loro: “In zone a rischio dove molte ONG e Onlus agiscono con i loro volontari – spiega Nerozzi -, può succedere di farsi arrestare, rapire o ammazzare. Chi si stupisce e si scandalizza per questo non ha il minimo senso della realtà”.
Scrive ancora Nerozzi: “Ritengo che sulla storia di Silvia “Aisha”, l’unica cosa che bisognerebbe chiedersi, è se la sua presenza in quel luogo sia stata gestita con sufficiente attenzione e con le dovute precauzioni. In un certo ambiente arcobaleno manca totalmente lucidità su come funziona il mondo. Il pregiudizio sulle armi, le favolette sul pacifismo che risolve ogni diatriba, la stupida presunzione di essere in grado di “costruire ponti” anche nei confronti di formazioni aggressive e ideologizzate, creano pericolosissime performance da funamboli della solidarietà. L’ipocrisia nell’ambiente radical chic peraltro è totale: i più sgamati di quelle ONG hanno fior fiore di guardie armate attorno agli ospedali, ma i loro rappresentanti predicano la non violenza e fanno le battutine idiote sugli americani che vanno a comprare armi quando scoppia la pandemia. Probabilmente Silvia “Aisha” non doveva stare in quel villaggio senza i potenti mezzi di cui godono, invece, le organizzazioni che piacciono ai cantanti impegnati e agli attori no boders”.
Sulla conversione all’Islam di Silvia non me la sento proprio di dare giudizi, primo perché non sono islamofobo, secondo perché non sono nessuno per giudicare le sue scelte, per altro arrivate in dinamiche tutte da chiarire e che solo lei può spiegare.
Dopodiché, mi sento di evidenziare un altro aspetto. La giovane cooperante è arrivata in Italia con una lunga tunica verde che però non ha nulla di somalo. La cosiddetta “tenda verde” non è una veste tradizionale africana ma rappresenta una divisa islamista di una delle tante ramificazioni del Jihadismo più cruento e feroce che al loro interno include persino i foreign fighters abituati a praticare brutalità di ogni sorta come uccisioni di donne con lapidazioni, mutilazioni ed esecuzioni sommarie, oltre agli attacchi terroristici con massacri di massa.
Cosa voglio dire. Se un anno e mezzo fa avevamo una ragazza sorridente partita volontaria, probabilmente dalle idee discutibili e sospinta da una buona dose di ingenuità, oggi abbiamo una ragazza fisicamente libera ma (forse) psicologicamente ancora prigioniera e spiritualmente sottomessa al peggior islamismo.
Se anche non fosse così, se questa spiegazione non fosse reale ma frutto di un imperscrutabile pregiudizio, l’immagine della ragazza scesa dall’aereo con la tunica verde non ha aiutato a interpretare diversamente quel passaggio. E non lo dico io, ma  lo dice Maryan Ismail, docente di Antropologia dell’immigrazione e mediatrice culturale che così si è espressa durante la trasmissione Quarta Repubblica di Nicola Porro: “Un’immagine devastante che non ci spiega il suo travaglio e il suo avvicinamento spirituale all’Islam, un’immagine che non ci spiega nulla, anzi è una vittoria della comunicazione Jihadista che ci disturba e ci preoccupa tantissimo”.

Alex Cioni

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