Quando Goethe scese in Italia per quel suo famoso viaggio che divenne poi tuor obbligato per le élite culturali e attraversò tutto l’ottocento e due guerre mondiali per approdare al tour americano immortalato della dolce vita di Fellini (e lì morire) è noto che l’uomo del settecento dallo sguardo universale lodò la serena imponenza e la distesa architettura dei nobili Beregani, architettura che ieri come oggi si staglia sullo sfondo dello straordinario paesaggio della pedemontana.

Campi distesi e coltivati, paesaggio collinare di sorprendente varietà e bellezza, corona di montagne quasi levigate e in lontananza i profili più acuti delle prealpi:dunque, il piano, la collina e la montagna in largo raggio visuale. Le associazioni nate a salvaguardia del patrimonio culturale e paesaggistico – poiché è noto che il paesaggio è patrimonio artistico – hanno abbondantemente superato il mezzo secolo di vita, segno inequivocabile che le élite culturali nazionali si sono mosse da tempo (e spesso con successo) nel disperato tentativo di salvare arte e affini dall’assalto di una agguerrita speculazione, sottrazione e distruzione del patrimonio comune.
Da oltre vent’anni uno spietato capitalismo di quarta generazione sta notoriamente recintando intere aree del pianeta Terra, sottraendo l’acqua, i fiumi e le sue rive, espropriando brutalmente gli abitanti che vi dimoravano da millenni, togliendo loro la terra e il sostentamento, lo spazio e la libertà.
Associazioni sul territori difendono l’agricoltura a Km zero poiché si è scoperto (pare) che produrre in zona costi meno che importare da lontano e mentre intere vagonate di cereali, e prodotti agricoli vengono altrettanto notoriamente distrutti perché considerati eccedenti, i proprietari dei fondi sanno da anni che l’agricoltura non dà da vivere.
Nel nostro bel territorio la speculazione nasce da lontano, dalle ricchezze private degli anni 60 e 70 sapientemente reinvestite in terra, fabbricati agricoli e nelle belle ville e barchi che gli eredi del patriziato veneto cedevano ai nuovi compratori. Ma il denaro – qui come altrove – non dorme mai, sonnecchia, per poi risvegliarsi più deciso che mai a mettere a frutto l’investimento.
Le Nuove Associazioni nate per governare il territorio – qui come altrove – hanno scoperto i simposi culturali, e mentre ci ricordano con dovizia di colti interventi che anche dopo Goethe il nostro paesaggio è stato rivisto dagli occhi di Piovene, Fogazzaro e di Parise, tentano di proporsi come i nuovi difensori della cultura in un’ ottica globale e totalizzante dove tutto è difendibile ma dove il prodotto DOP del momento ha sicuramente la supremazia. E mentre una “cultura pubblica” che sfiora la barbarie pota senza pietà splendidi alberi che impiegheranno anni a rifarsi la chioma in un ambiente che diventa sempre più inquinato perché le macchine devono per forza trovare posto in centro e una cementificazione selvaggia e indiscriminata di ultimissima generazione mostra i suoi scheletri deturpanti, i cittadini assistono – a quanto pare indifferenti – agli assalti più gravi dell’esproprio comune.
Certi isolati interventi di vero salvataggio del bene comune vengono proposti come fenomeni culturali di passaggio a cui dare visibilità e certo nulla si può dire delle associazioni culturali dei vari comuni e della stampa che promuovo e danno spazio a tutto e a tutti senza distinzione dimodochè nulla si possa realmente capire di ciò che fa ieri come oggi veramente cultura, cioè ciò che viene realmente coltivato. Cultura è da sempre pensiero, riflessione, lavoro gratuito, capacità del fare, salvataggio di memorie, resistenza attiva, esempio.
E’ dunque ammirevole che un gruppo di attivisti spontanei abbia saputo organizzarsi in breve tempo per cercare di fronteggiare ancora una volta questa iniziativa non nuova, opponendosi alla recinzione di spazi di straordinaria bellezza che in questi anni hanno saputo offrire svago a tutti i cittadini dei comuni limitrofi – Thiene in primis – senza distinzioni di censo.
Il confinamento per uso esclusivamente privato ed elitario di territorio, qui come altrove, è da vedersi giustamente per quello che è: una sottrazione di territorio da sempre accessibile a tutti, dove la villa, il barco, il gruppo arboreo, la piccola chiesa di campagna così come la cappella privata e gentilizia, gli avvallamenti e le dolci pendenze collinari, le strade sterrate entro i campi – vene che corrono ancora su un corpo vivo – con i portoni aperti indicanti giustamente proprietà privata sì, ma percorribile, sappiano ancora offrire a lungo l’irrinunciabile conforto di una natura dalle bellezze generose che il nordico poeta ci invidiò e che la poesia contemporanea ancora ci indica come meta semplice, medicina dell’anima gratuita e a portata di mano, straordinario paesaggio per tutti dove poter correre, dipingere, fotografare, pensare, leggere o più semplicemente passeggiare contemplando da vicino la Nostra Storia.

Thiene, 10 maggio 2012 Antonella Brazzale

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