Non si può più tollerare che nel 2025 le donne vengano messe in discussione non per ciò che dicono, ma per come appaiono. Dopo decenni di battaglie per l’accesso allo studio, alla ricerca, alla docenza, siamo ancora qui, a dover difendere il diritto di una scienziata di salire su un palco vestita d’estate.
Che una donna salga su un palco per parlare di fisica quantistica e venga giudicata non per le sue parole, ma per il vestito che indossa, è qualcosa che nel 2025 non dovrebbe più accadere. E invece è successo. Gabriella Greison, fisica, scrittrice e brillante divulgatrice scientifica, è stata travolta da un’ondata di commenti sessisti dopo aver condiviso un video in cui anticipava il suo intervento alla cerimonia di laurea dell’Università di Messina, tenutasi nello scenario suggestivo del Teatro Greco di Taormina.
Nonostante l’importanza dell’occasione e il valore culturale del suo discorso — centrato su libertà, coraggio e rivoluzioni — l’attenzione di molti si è concentrata sul suo abito: leggero, estivo, scollato, perfettamente adeguato al caldo rovente e all’atmosfera dell’evento. A far discutere non è stato il contenuto, ma il corpo. Non la scienza, ma l’apparenza. Come se una donna non potesse, allo stesso tempo, parlare di Schrödinger e avere le “tette”, come lei stessa ha provocatoriamente scritto nella sua risposta pubblica.
Una risposta che smonta il pregiudizio con ironia
La replica di Greison è arrivata rapida e lucidissima: «Quello che vi ha turbato non è il vestito. È il fatto che una donna possa parlare di fisica quantistica senza ricordare un uomo, e quindi senza chiedere il permesso. Che possa salire su un palco, spiegare la funzione d’onda e Schrödinger, e intanto avere le tette. Ops». Con questa frase ha trasformato la polemica in un atto di denuncia, facendo emergere la profonda ipocrisia e il sessismo ancora serpeggianti anche nei contesti più elevati.
A sostenerla non sono solo colleghi e colleghe del mondo accademico. La rettrice Giovanna Spatari ha elogiato pubblicamente il suo intervento e ha definito le critiche “un attacco sessista mascherato da moralismo”. Anche la stampa, gli utenti dei social, figure istituzionali e cittadine e cittadini comuni — senza distinzioni ideologiche o partitiche — hanno espresso solidarietà. Un segnale forte, che dimostra come la società, almeno in parte, sia stanca di questo tipo di umiliazioni.
Un attacco alla libertà di essere sé stesse
Ciò che è accaduto a Taormina non è solo un episodio di sessismo: è un attacco al diritto delle donne di essere sé stesse, di parlare, pensare, esprimersi, anche attraverso ciò che indossano, senza dover essere ricondotte a stereotipi o giudizi moralisti. Non è accettabile che il rispetto venga ancora subordinato all’aderenza a un’idea maschilista di “decoro”.
Gabriella Greison non ha solo risposto con ironia e intelligenza: ha mostrato quanto ancora siamo lontani da una piena emancipazione culturale. Ma ha anche dimostrato che non si torna indietro: non chiederemo il permesso per parlare di scienza, né per vestire come vogliamo. E il fatto che questa volta la solidarietà sia arrivata da ogni parte , politica, culturale, generazionale, dimostra che è arrivato il momento di archiviare definitivamente il sessismo. E di ascoltare, finalmente, chi ha qualcosa da dire.
N.B.
