La globalizzazione che isola e lo scardinamento delle vecchie e consolidate abitudini hanno portato ad una crisi che sembra peggiorare ogni giorno che passa e solo con una presa di coscienza, che permetta di comprendere che il mondo è cambiato, si può dare una risposta che spinga al miglioramento.

Il posto fisso che non esiste più e lo stravolgimento del proprio tenore sociale hanno minato l’essere umano, che in preda alla paura e alla mancanza di sicurezza tende ad isolarsi sempre più.

Da  molti anni in Italia viviamo una profonda crisi di valori, collegata alla globalizzazione ed alla più grave depressione economica vissuta tra il 2008 ed il 2014.

Nella crisi odierna c’è innanzitutto un problema di ‘perdita’, nella comunità, delle convinzioni tradizionali sulle quali si era basata l’interpretazione della realtà. Viene meno la certezza di un posto di lavoro, di un reddito garantito ed è minato un tenore di vita che sembrava immutabile e rappresentava la propria sicurezza personale.

Nella Comunità si chiude l’orizzonte ed è molto forte l’impulso a trovare sicurezza nelle mura domestiche, nella rarefazione delle relazioni, nell’esaltazione del proprio particolare.

I due modi di gestire la crisi sono anteposti e se da un lato c’è il ricorrere ai soliti vecchi sistemi, che hanno già dato prova di fallimento, dall’altro ci sono nuovi schemi tutti da provare.

Adottare gli stessi schemi di comportamento individuale e collettivo conosciuti, cullando l’illusione che prima o poi tutto tornerà come prima, è un atteggiamento consolatorio ed errato. La conseguenza di questa ‘conservazione’  è l’ingessatura della vita della Comunità  in schemi abitudinari rigidi, nella negazione  del cambiamento vissuto come minaccioso per la propria integrità. Si ripropone, il solito modello di sviluppo economico, anche quando palesemente non soddisfa più i bisogni primari e secondari, le solite strategie sociali di fronte ai bisogni anche se mancano le risorse, il rifiuto della convivenza inevitabile (ma possibile da governare) con lo straniero percepito, a torto o a ragione, come una minaccia. Avvolta in nuove paure, la comunità ripiega su azioni di corto respiro . La crisi della partecipazione, a tutti i livelli, è figlia di questo atteggiamento di chiusura, che alla crisi reagisce ribadendo i propri vecchi schemi di organizzazione

Ci può essere però un’altra risposta alla crisi, la possibilità di scoprire  capacità non esplorate, di  ricostruire una strategia nuova per risolvere problemi che sembravano insormontabili:  dal lavoro da reinventare nelle nuove tecnologie e nei servizi legati  esclusivamente al capitale umano, alla protezione sociale da ridisegnare con risorse più limitate, dalle produzioni senza valore sociale alla riscoperta delle produzioni utili, dal consumismo esasperato ad uno stile di vita più sobrio.

Alcuni esempi? Il Welfare di comunità  che affianca il vecchio Stato Sociale ammaccato è  una rielaborazione della crisi del vecchio assistenzialismo. La presa in carico della persona per accompagnarla al lavoro, riconvertirla quando dovrà cambiare attività, sostenerla anche economicamente nelle fasi in cui il lavoro non ci sarà, è una nuova modalità di risposta alla crisi del posto fisso che non esiste di fatto più. Costruire reti di persone volontarie con esperienza nella gestione dell’ordine pubblico (ex operatori delle forze dell’ordine o cittadini con particolari attitudini e sensibilità) ad interagire con polizia e carabinieri nella difesa dell’ordine cittadino può migliorare il controllo del territorio comunale soprattutto a difesa dalla microcriminalità oggi diffusa. Il sistema del no profit che gestisca la cultura, il patrimonio artistico può essere l’alternativa alla crisi di una gestione statale troppo lenta ed ingessata. Il tutto, deve essere messo in pratica mantenendo l’identità della comunità, ovvero valori, conoscenze, tradizioni culturali che la connotano. Questa è l’infrastruttura essenziale che va presidiata con ogni sforzo e con ogni iniziativa coerente.

Alberto Leoni

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