di Maria Andaloro
Sono altre le donne che li abbandonano per strada, nei cassonetti, nei bagni, dietro le siepi.
Questa donna ha partorito e poi ha scelto, evidentemente, l’unica soluzione che le consentiva di garantire una vita dignitosa al bambino che aveva portato in grembo per tutti i mesi della gravidanza.
Come vi permettete di scrivere “abbandonato”?!?
«Ciao mi chiamo Enea. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile».
La sua mamma l’ha lasciato al sicuro presso una clinica che offre il servizio “Culle per la vita” che permette di accogliere in totale sicurezza un bimbo che i suoi genitori non possono purtroppo e per qualsiasi motivo tenere con sé.
E’ una cosa che pochi sanno, ma in ospedale si può partorire in anonimato, per la sicurezza di mamma e bambino. Credo che separarsi da un figlio sia il gesto d’amore più forte che si possa fare da madre. Magari era minorenne.
Magari era disoccupata. Magari aveva altri 7 figli.  Magari era stata stuprata. Magari era malata. Magari era fragile.  Magari non voleva abortire e ha scelto di lasciarlo al sicuro a questo servizio che la clinica offre. Non poteva crescerlo. E l’ha lasciato in mani sicure. Certamente bisognerebbe fare attenzione prima di titolare, criticare e giudicare.
È scorretto per la mamma. Per il bambino. Per chi si occupa del servizio della “Culla” e perfino per chi lo adotterà.
Pensatelo Enea, fra 10 anni leggerà di essere stato abbandonato mentre invece è stato protetto dalla sua mamma. Informate piuttosto sulla possibilità di partorire in anonimato.
E la certezza di affidare il piccolo ad una struttura dove gli sono garantite cure immediate e che preserva l’assoluto anonimato. Sempre con questo dito puntato.
La violenza dei media a volte mi lascia interdetta.
Scusa Enea.
E scusa pure tu, mamma di Enea.
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