Lotta alla criminalità, identità linguistica, autonomie regionali e crollo dei partiti tradizionali. La Lega veneta e lombarda degli anni ’80 nacque così e oggi, quella nazionale di Salvini, nasce sugli stessi principi.
“La storia si ripete. Quello che sta succedendo nella Lega si è già visto e a farne le spese è sempre il Veneto”.
Ettore Beggiato, riferimento della Liga Veneta, storico e autore di libri come ‘Questione Veneta’ e ‘1866: la grande truffa’, auspica qualcosa di nuovo per la sua Regione. E’ uno dei pochi a sapere che “senza i soldi dei veneti Matteo Salvini non sarebbe leader di nulla, perchè non ci sarebbe la Lega Lombarda e probabilmente a quest’ora, l’autonomia sarebbe cosa già fatta”. Se tutto questo non c’è, a suo avviso la responsabilità è proprio della Lega Lombarda: “I casini nascono sempre in via Bellerio. I veneti, grandi portatori di voti, sono finiti all’angolo e non si può accettare. Zaia deve battere cassa”.
Beggiato, in Liga Veneta dalla nascita del movimento, quando la Lega Lombarda non esisteva. Politico e grande conoscitore della storia veneta. Com’è nata la Liga Veneta e che cosa voleva contrastare?
La Liga è nata su una forte spinta culturale ed identitaria veneta, con i corsi di lingua veneta a Padova. Un po’ come sta succedendo oggi. Allora si sono ritrovati spiriti liberi del Veneto, consapevoli che la nostra identità linguistica, storica e culturale veniva calpestata, derisa e mistificata. Nasce la Liga Veneta, da lì cresce e si affianca un filone politico che inizia a parlare di autonomia. Il Veneto è l’unica regione italiana compressa tra 2 Regioni a statuto speciale, per cui da sempre viviamo una serie di discriminazioni che esistono ancora oggi. A livello politico, il movimento voleva eliminare il ‘soggiorno obbligato’, una legge italiana criminale che prevedeva che lo stato italiano mandasse in soggiorno obbligato in Veneto mafiosi, camorristi e appartenenti alla ‘ndrangheta (fine anni ’70 e primi anni ’80). Arrivavano, per ordine dello Stato, pezzi da novanta della criminalità organizzata e fungevano da docenti per la criminalità locale, da qui ad esempio è nata la Mafia del Brenta. Eravamo da soli a contrastare questa legge, abbiamo ottenuto grande seguito. Inoltre c’erano le prime avvisaglie della crisi dei partiti tradizionali a partire dalla DC, che in Veneto è sempre stato il partito di raccolta dei voti. Il primo campanello d’allarme per la DC è stato alle politiche del 1983, quando Liga Veneta ottenne un successo straordinario e fece eleggere 2 parlamentari.
In pratica, uno scenario molto simile a oggi. Che relazioni c’erano allora con la Lega Lombarda e che relazioni ci sono oggi?
Lega Lombarda è nata dopo, con le regionali del 1985, grazie ad un prestito di 50 milioni di lire che noi abbiamo fatto ai lombardi. Umberto Bossi iniziò così la Lega Lombarda. Senza la Liga Veneta i lombardi non sarebbero potuti esistere. Molti dirigenti oggi non ne sono nemmeno a conoscenza. All’epoca c’era sudditanza da parte dei lombardi nei confronti dei veneti. Per i lombardi la Liga Veneta era un punto di arrivo, c’era un misto di invidia e ammirazione per noi che senza mezzi e contributi esterni avevamo creato il movimento. Questo fino al 1987, anno in cui la Liga Veneta ha perso la sua rappresentanza al parlamento e la Lega Lombarda ha eletto Umberto Bossi e Giuseppe Leoni. Da qui è cambiato lo scenario, con la Lega Lombarda diventata punto di riferimento di tutta l’area del nord.
Che cosa è successo in questi 30 anni? Siamo passati dal ‘Ce l’ho duro’ in canottiera ai selfie in spiaggia a petto nudo… Allora c’era benessere, oggi piena crisi…
All’epoca era arrivato il ciclone Bossi con la Lega Nord. Liga Veneta si era ridotta ai minimi termini e io, che contestavo l’incapacità di fare politica e aprirsi al territorio, sono stato espulso il 1 marzo 1987. Liga Veneta aveva potenzialità enormi. Ho fondato Union del Popolo Veneto e nel 1990 sono tornato in consiglio regionale da solo. Negli anni ’90 è emerso Bossi, che con la sua presenza e la sua istrioneria è diventato il leader. Quando Bossi ha lanciato la Padania, c’è stato un momento di rottura con la base veneta, perché Bossi voleva imporre anche in Veneto una simbologia che non era la nostra. Pretendeva che nelle sedi della Liga Veneto sventolassero solo bandiere della Padania e non più bandiere con il leone di San Marco. C’è stato un tentativo di imporre una nuova identità, mal digerito in Veneto . E’ la storia che si ripete, oggi è successo con la trasformazione da partito territoriale a nazionale e in Veneto ogni tanto riemerge dal magma una insofferenza nei confronti dello strapotere lombardo. Qui i lombardi sono oggettivamente mal digeriti. Non si può sempre accettare che i veneti siano grandi portatori di voti e poi il peso politico ce l’hanno i lombardi, che non fanno nulla per il bene del Veneto.
Come si concilia la Liga Veneta, che rimane nell’animo di molti leghisti di oggi, con la Lega di oggi?
Siamo ancora in un periodo interlocutorio a mio avviso, in fase di prova. Sotto sotto il malumore c’è, perché è naturale e c’è un modo diverso di fare politica. I casini in casa Lega nascono sempre in via Bellerio, vedi i 49 milioni, il caso Russia. I veneti sono disarmati difronte allo strapotere salviniano, ma la colpa è anche dei veneti, che o per sudditanza o per quieto vivere non hanno mai contestato Salvini. A 2 anni dal referendum del 2017 il Veneto non ha portato a casa nulla e siamo anche lontanissimi da ipotizzare qualsiasi risultato concreto.
E Luca Zaia che ruolo ha? Oggettivamente è cambiato. Da uomo istituzionale e autorevole, ora sembra la longa manus di Salvini. Ha un account social di basso profilo, sbraita e chiede ‘l’aiuto del pubblico’ in ogni post.
Io chiedo proprio a Zaia, al quale i veneti hanno dato una fiducia assoluta e senza pari nella nostra storia, di battere cassa con Salvini e di farsi sentire. I veneti guardano a lui con fiducia e speranza. Finite le ferie io auspico una manifestazione pubblica in Veneto in cui convergano tutti gli autonomisti. Ci facciamo sentire o continuiamo a mugugnare in qualche taverna? Serve una manifestazione organizzata dalla Lega di Zaia, dai veneti. Non mi interessa chi c’è a Roma, non mi interessa se cambia il governo, noi vogliamo l’autonomia, senza partiti ma con la bandiera di San Marco. Con i tempi della Mafia romana qui diventiamo vecchi tutti senza avere nessun risultato.
Come è stato possibile che un partito come la Lega, che aveva come fulcro l’identità e le autonomie territoriali, sia diventata un punto di riferimento nazionale?
Salvini ha avuto l’intuito di colmare quel vuoto immenso che c’era nel centro destra e si è infilato lì, strafregandosene della storia e dell’identità della Lega. I nostri motti erano ‘il Veneto ai veneti’, ‘via da Roma’, ‘chi non salta è italiano’. Salvini questo lo sapeva. Lo zoccolo duro della Lega è ancora questo. Oggi c’è un’altra situazione che sta venendo fuori in Veneto, cioè lo zoccolo duro dei nostri leghisti è all’angolo e il nuovo gruppo dirigente è salviniano. La Lega oggi è un partito egemone e chi vuole fare politica deve entrare in Lega. I nuovi poi non hanno nulla della nostra storia, nascono con il centro destra nazionalista, dicono ‘prima gli italiani’ e cantano l’inno di Mameli. Io non ce la farei mai. L’identità e il concetto di appartenenza è uno solo, come la mamma. Noi veneti siamo veneti. A livello europeo poi non parliamone.
Le autonomie, a suo avviso, sono ancora un punto fermo della nuova Lega? Oppure sono solo un obiettivo del nord? O addirittura, potrebbe essere solo un argomento vuoto che il partito stesso sta utilizzando per non perdere i voti del nord?
Io credo che il gruppo dirigente veneto sia fortemente autonomista, ma in Camera e Senato non ne sono assolutamente sicuro. Salvini considera in frigorifero i voti del nord ed è interessato a sfondare al sud. Ma non è detto che i veneti continuino a votare Salvini. Il problema è tutto veneto. Siamo noi che rischiamo di allontanarci. La locomotiva è il Veneto, le altre regioni sono vagoni che si attaccano dietro. Se il Veneto punta i piedi Salvini rischia il tracollo. Oggi ad ogni elezione c’è un 20-30% che cambia. Il voto veneto alla Lega non è patrimonio inalienabile. I veneti appaiono a volte tonti ma non lo sono e dopo anni di promesse, quando pareva che l’obiettivo fosse dietro l’angolo, abbiamo in mano un pungo di mosche. L’elettorato veneto deve riflettere, anche se per ora non c’è alternativa. I veneti si turano il naso e votano Lega. Votiamo Lega per disperazione, perché non c’è nulla di meglio.
In questo contesto, come vede il neonato Partito dei Veneti di Antonio Guadagnini e del fatto che lui abbia proposto la presidenza a Luca Zaia?
C’è una grande aspettativa. Teniamo conto che 5 anni fa il voto indipendentista arrivò al 5%, con 100mila votanti. E’ un patrimonio importante che è salito. La base è straordinaria per spirito e attaccamento, ma bisogna capire se l’apparato dirigente è preparato e ha voglia di strutturarsi come un partito vero e proprio. Non può essere solo un cartello elettorale. Servono tanti incontri per diventare un riferimento politico vero, io macinavo migliaia di chilometri.
Come dovrebbe essere il comportamento dei veneti, intesi come identitari veneti, verso la Lega di Salvini?
Ne discutiamo spesso tra amici, ci troviamo sovente e siamo parecchi. Attaccare la Lega oggi è sbagliato, i leghisti della base sono nostri fratelli, parlano la nostra lingua e hanno gli stessi obiettivi. Si dovrebbe fare un distinguo e contestare i vertici che hanno impostato la Lega su misura di Salvini. Per il Veneto questa Lega non va bene. La nostra area indipendentista dovrebbe essere un pungolo per la Lega Nord.
Come vede le figure di Matteo Salvini e di Luca Zaia? In caso di crollo del partito o di scissione tra i 2, ha più da perdere Salvini o Zaia?
Loro sanno il rapporto che hanno. Da osservatore esterno vedo un Salvini preoccupato della straordinaria popolarità e credibilità di Zaia nelle stanze del potere. Zaia gode di alta considerazione, è il politico in doppiopetto, Salvini è quello della felpa, in tutti i sensi. Zaia è l’unico che può mettere in discussione la leadership di Salvini, è l’unico antagonista vero e questo lo sanno entrambi. Oggi la crisi è di difficile lettura.
Come si concilia il voto del leghista veneto con quello del leghista salviniano? Un veneto indipendentista, può essere allo stesso tempo salviniano?
E’ un voto di convenzione e di disperazione, solo perché non c’è alternativa. Anche io sono tornato a votare Lega dopo tanti anni, ma solo perché io vado a votare sempre e sono obbligato a scegliere.
Quale futuro vede per il popolo veneto e quale per la Lega? Corrono nello stesso binario o sono destinati a separarsi?
Troppo presto per dirlo. Bisogna vedere se ci saranno dei risultati, in primis sull’autonomia, ma anche per altre risposte. E poi dipende dalle alternative, se ce saranno. I veneti non andranno mai a sinistra. Oggi Zaia e Lega possono stare tranquilli, ma l’elettorato è comunque volatile e ci sono i presupposti per accogliere qualcosa di nuovo, se si presentasse un partito veneto che andasse da solo, senza rapportarsi né a Milano né a Roma. Io avevo fatto il manifesto ‘né schiavi di Roma né sudditi di Milano’.
Lei è disposto a mettersi in gioco a qualche titolo? E se sì, con chi?
Io ho fatto il mio. Continuo nei miei studi e nei miei libri, ho chiuso la mia esperienza politica. Non ci sono uomini per tutte le stagioni, ci vuole un giovane, anche una nuova immagine.
Come la vede per le prossime elezioni regionali? Pronostici?
Zaia e Lega possono stare tranquilli. A breve non vedo nulla, siamo già a fine estate ed in campagna elettorale. Non ci sono più i tempi operativi. Non c’è più tempo né per creare un soggetto politico nuovo né per trovare finanziamenti. Serve avere alle spalle un grande e forte sostegno finanziario.
Quale dovrebbe essere il cavallo di battaglia di Luca Zaia o di Antonio Guadagnini per le prossime elezioni regionali?
E’ sempre ancora troppo presto per dirlo, dipende se cambia qualcosa nei prossimi mesi e se arriva qualcosa da Roma. L’autonomia è quello che vogliono i veneti più di tutto, da decenni. Se non arriverà nulla da Roma, allora il cavallo di battaglia dovrebbe essere la denuncia del governo romano e del fallimento della Lega. Lo sapremo tra un paio di mesi.
Anna Bianchini