Raddoppiano i costi nel mondo agricolo a causa dell’aumento dei prezzi di produzione e la situazione “è preoccupante per le imprese e per gli effetti che produrrà sui cittadini, presumibilmente a partire dalla fine del primo trimestre 2022”.

L’allarme arriva da Coldiretti Vicenza che descrive gli allevamenti “messi a dura prova”.

L’aumento dei costi di produzione agricoli non è fantasia. E lo sanno bene gli allevatori, che dallo scorso dicembre si sono visti recapitare bollette per l’energia elettrica più che raddoppiate. Analoga situazione si presenta sul fronte dell’alimentazione animale, con un rincaro che sfiora i 500 euro annui a capo.

Coldiretti Vicenza, carta alla mano, ha fatto i conti: “Una stalla media da 100 capi, con una produzione di latte di 35 litri al giorno per capo, per effetto degli aumenti che incombono sugli allevamenti perde ogni mese oltre 8.000 euro, quindi poco meno di 100.000 euro l’anno – spiega Simone Ciampoli, direttore di Coldiretti Vicenza – Senza contare, poi, che gran parte dei nostri allevamenti utilizzano manodopera familiare, che non viene considerata e per la quale, di fatto, non esiste remunerazione, in particolare per effetto di questi aumenti”.

Una situazione decisamente preoccupante e che pare rappresentare un punto di non ritorno. “La situazione che si profila è seria, probabilmente la più dura degli ultimi decenni. La combinata aumento del costo dell’energia elettrica e delle materie prime alimentari, ma non solo, provocherà la chiusura di numerose imprese allevatoriali da latte, già stremate da un prezzo del latte alla stalla insufficiente a compensare lo sforzo degli allevatori – spiega Martino Cerantola, presidente provinciale di Coldiretti Vicenza – Basti pensare che la remunerazione di 40 cent al litro di latte prodotto è appena sufficiente a coprire i costi di produzione, quindi ora stiamo lavorando decisamente in perdita”.

Gli effetti più severi si noteranno presumibilmente dal secondo trimestre dell’anno, quando anche sui cittadini si abbatterà la stangata dell’aumento delle tariffe energetiche.

“Ogni anno siamo abituati all’annuncio dell’aumento di prezzi e tariffe, ma non per questo dobbiamo essere meno attenti a ciò che effettivamente accade. Quest’anno il sensibile aumento delle tariffe energetiche produrrà conseguenze concrete e pesanti sulle famiglie vicentine, che pagano lo scotto di una pandemia la cui soluzione è ancora lontana, con la perdita di molti posti di lavoro e difficoltà non indifferenti per i lavoratori autonomi in quasi tutti i settori”, prosegue Cerantola.

“L’analisi che abbiamo fatto ci preoccupa molto. Temiamo per la sopravvivenza delle nostre imprese ma anche delle produzioni, che contraddistinguono il lattiero caseario. Rischiamo di perdere, infatti, imprese, una rilevante fetta del nostro Pil, e la nostra storia produttiva che ci contraddistingue nel mondo”, sottolinea Ciampoli.

Sui consumatori, però, non peseranno gli aumenti del prezzo del latte alla stalla, che tradizionalmente subisce rialzi dell’ordine di pochi centesimi, ma, come sempre, della Gdo, che detta le regole del mercato.

“I nostri allevamenti sono spesso costretti a subire il prezzo stabilito dai potenti della distribuzione – aggiunge il presidente Cerantola – ed a questo non appare ci siano vie d’uscita. Se si vuole piazzare il proprio latte occorre stare alle regole imposte da accordi capestro, pesantissimi, ma che consentono di avere una continuità, quindi di lavorare. Certo, con le condizioni che si delineano, sarà sempre più difficile poter sostenere questa situazione e vedere un futuro per gli allevamenti”.

Gli effetti degli aumenti, però, non si fermeranno a questo, che pure basterebbe. “Il progressivo minor potere di acquisto delle famiglie indurrà le stesse a scegliere sulla base del prezzo, senza potersi più permettere di leggere l’etichetta o curarsi della provenienza dei prodotti. Ci saranno conseguenze anche sul fronte della salute, perché scegliere i prodotti più economici non sempre fa bene alla salute. Noi continueremo, attraverso i mercati di Campagna Amica a svolgere un’importante funzione di informazione e sensibilizzazione, ma non possiamo ignorare che questo preoccupante quadro, tratteggiato, potrebbe essere vicino”.

La soluzione non è dietro l’angolo. Adeguare il prezzo del latte alla stalla appare un’utopia. L’unica ipotesi, quindi, è che il Governo intervenga con un contributo sufficiente a ridurre l’aumento delle bollette energetiche.

“Auspichiamo che il Governo affronti il problema – concludono Cerantola e Ciampoli – che è prioritario per le imprese allevatoriali, ma anche per le famiglie vicentine e venete. Ne va del futuro del settore lattiero caseario, della distintività delle nostre produzioni, del Pil che queste imprese, con il loro indotto, producono e, naturalmente, del turismo che ruota attorno a questo straordinario patrimonio di cultura e sapienza che si tramanda da sempre e per il quale è crescente anche l’interesse dei giovani”.

Costi di produzione troppo alti: “Le stalle venete sono a rischio default”

“Le stalle venete sono ad un punto di non ritorno. Gli aumenti delle materie prime, dagli alimenti animali al gasolio, agli imballaggi, cui si aggiunge il rialzo shock, senza fine, delle tariffe energetiche, rappresentano una reale minaccia per gli allevamenti veneti, che rischiano letteralmente di chiudere i battenti nel breve termine”.

E’ il commento di Floriano De Franceschi, presidente di Arav, che continua: “Ci troviamo di fronte ad una situazione severa una serie di aumenti, mai visti in precedenza, che minano alle radici la stabilità delle nostre stalle, che già in precedenza lavoravano con margini modesti. Per effetto degli aumenti, che abbiamo compiutamente analizzato, per ogni litro di latte gli imprenditori agricoli stanno sostenendo un maggior costo che sfiora i 9 centesimi di euro: il tracollo è dietro l’angolo se tale situazione dovesse persistere”.

L’analisi di Arav muove i propri passi dal confronto, tra dicembre 2020 e dicembre 2021, delle spese di una stalla media veneta di bovini da latte, che comprende un centinaio di capi, considerando una produzione media di 30 kg al giorno di latte prodotto per ogni animale.

Il maggior costo rilevato, pari a 0,088 euro/litro per ogni litro di latte prodotto, rappresenta l’effettiva perdita che ogni allevamento si trova oggi a subire. Una somma che, calcolata sulla base di una mandria da 100 capi, si traduce in una perdita mensile che sfiora gli 8.000 euro, esattamente 7.920 euro, quindi quasi 100 mila euro annui.

“È impossibile reggere di fronte a questi numeri – aggiunge il presidente De Franceschi – ed il quadro che si profila è decisamente triste: le Istituzioni, se sono vere le loro considerazioni sul valore del grande peso economico e sociale del lavoro che ogni giorno realizziamo,  ora devono assolutamente intervenire, così come è giunto il momento che lo faccia l’indotto che ruota attorno alle produzioni lattiero casearie di alta qualità, con le eccellenze venete che ci vengono ovunque copiate ed invidiate, per non parlare del turismo”.

In particolare, ciò che non viene considerato è il costo relativo alla forza lavoro impiegata, che già prima era tirato, ma oggi si azzera del tutto. I familiari impegnati che lavorano in stalla, in poche parole, lo fanno del tutto a titolo gratuito, non potendo contare neppure sul modesto ristoro precedentemente vantato.

“Il mondo agricolo, si sa – spiega il presidente De Franceschi – si fonda sulla famiglia e sulla sua capacità di coesione e, appunto, di fare impresa. Non si può continuare, però, a pensare che i familiari lavorino senza essere remunerati. Va interamente ripensato il sistema se vogliamo davvero garantire un futuro non solo agli allevamenti veneti, ma all’intero settore lattiero caseario”.

E le preoccupazioni non si fermano qui. Arav, infatti, osserva come tutto il mondo della trasformazione lattiero-casearia rischi di subire un forte scossone. “Gli allevatori – sottolinea l’Associazione – dovranno indirettamente fare i conti anche con i costi dell’energia piombati pesantemente su cooperative e caseifici privati”.

Se quello, appena tratteggiato, è il quadro del settore latte, non va affatto meglio sul fronte della carne. Per i suini, infatti, si registra un aumento del 27% del costo di produzione di un kg di carne. E per i bovini l’aumento, sempre a doppia cifra, raggiunge il 33%, con gli attuali prezzi di realizzo pari a quelli del 1989.

“Questi ulteriori dati fanno comprendere, una volta di più – conclude il presidente De Franceschi – come sia indispensabile agire rapidamente e senza mezze misure. La parola d’ordine è: realizzare politiche serie e costruttive di pronta applicazione, per garantire un futuro alla nostra zootecnia. Occorre ricordare che gli allevamenti non si possono fermare. Non possiamo chiedere agli animali di non produrre perché siamo in perdita, ma non possiamo neanche continuare a fare sacrifici insostenibili ed irragionevoli per un’impresa. Come ci insegna qualsiasi economista, infatti, un’azienda può esistere soltanto se genera un profitto. In questo momento, purtroppo, siamo consapevoli che le prospettive non ce lo garantiscono”.

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