La storia di Peep, golden retriever di quattro anni, ha attraversato il Veneto in poche ore, diventando uno dei casi più commentati degli ultimi giorni. Tutto nasce dall’appello lanciato da Giada Smania, giovane influencer trevigiana nota sui social come “Vaccapower”, seguita da oltre 600 mila persone tra Instagram e TikTok. Alla sua cagnolina è stata diagnosticata una leucemia mieloide acuta, una forma aggressiva di tumore del sangue che richiede cicli di chemioterapia dal costo elevato. Nel momento più difficile, Giada ha chiesto aiuto alla sua community per sostenere le cure veterinarie. La risposta è stata sorprendente: 15 mila euro raccolti in un solo giorno, grazie a 1.685 donazioni provenienti da tutta Italia. Una mobilitazione rapida, emotiva, quasi istintiva. In tanti hanno scelto di contribuire con pochi euro, mossi dal legame che spesso si crea tra chi segue quotidianamente una storia online e quei volti – umani o animali – che diventano parte del proprio quotidiano. Ma, accanto alla commozione, questa vicenda ha aperto una riflessione più ampia. A sollevarla è stato don Andrea Forest, direttore della Caritas di Vittorio Veneto, che osserva il fenomeno da una prospettiva diversa: quella del bisogno umano che fatica a emergere con la stessa forza nel mondo dei social. «Mi colpisce positivamente l’intensità degli affetti che caratterizza questa epoca – spiega – ma anche la loro proporzione. Spesso si perde una gerarchia dei valori e la razionalità delle scelte.

La storia che commuove è quella che attira di più». Forest chiarisce di non voler giudicare né Giada né i donatori, ma invita a non ignorare la domanda che questa vicenda porta con sé: quante persone avrebbero potuto essere aiutate con 15 mila euro, soprattutto ora che l’emergenza freddo è alle porte e il bisogno di casa diventa ogni giorno più urgente? Il sacerdote sottolinea inoltre una dinamica che spesso passa inosservata, ma che incide profondamente sulle scelte emotive contemporanee: «La relazione con un animale è meno impegnativa, più immediata, richiede meno reciprocità. Con l’essere umano c’è più complessità, più fatica. Comprendere questo aiuta a capire perché l’empatia verso un cane possa attivarsi così rapidamente». Eppure, aggiunge, il fatto che l’emozione sia viva resta un segnale positivo. «Viviamo di reazioni immediate, sospinte dai social. Sarebbe bello che questa energia non svanisse, ma diventasse occasione di attenzione anche per le povertà meno visibili». La storia di Peep, dunque, non è solo la storia di un cane malato e di una ragazza che cerca di salvarlo. È un piccolo specchio della società: capace di mobilitarsi in pochi minuti, di emozionarsi davanti alla fragilità, ma anche di interrogarsi – quando qualcuno lo fa notare – su come distribuisce la propria capacità di prendersi cura. In mezzo resta ciò che nessun dibattito potrà mai cancellare: il legame profondo tra una ragazza e il suo animale, un legame che appartiene al cuore umano da sempre.

E resta una domanda che vale più di qualsiasi giudizio: riusciamo a trasformare l’empatia dei social in un impegno che guardi anche agli altri, anche a chi non appare mai in un video?

Fonte Il  Corriere della Sera

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