a cura dello Studio Cataldi
La questione della quantità di sostanze stupefacenti che una persona può legalmente detenere per il proprio consumo personale è una delle più delicate, dibattute e spesso fraintese nel panorama giuridico italiano. Molti cittadini si interrogano, talvolta con apprensione: per la droga per uso personale: qual è la quantità consentita dalla legge? Esiste un limite preciso, una sorta di “soglia di tolleranza” al di sotto della quale non si rischiano conseguenze penali? La risposta, è bene chiarirlo subito, è complessa e non si traduce in un semplice numero. La normativa italiana, pur distinguendo nettamente tra la detenzione di sostanze finalizzata allo spaccio – che costituisce un grave reato – e quella destinata all’uso esclusivamente personale – che configura un illecito amministrativo – non stabilisce una quantità fissa e universalmente valida che funga da spartiacque automatico tra le due ipotesi. La valutazione è, infatti, affidata all’autorità giudiziaria, la quale decide caso per caso, sulla base di una serie di indici e circostanze oggettive e soggettive. Questa guida si propone di fare chiarezza sui criteri utilizzati dalla legge e dalla giurisprudenza per operare tale distinzione, sull’evoluzione normativa in materia e sulle implicazioni concrete per chi viene trovato in possesso di sostanze stupefacenti.
Il Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni) è la normativa cardine che regola la materia in Italia. Esso traccia una distinzione fondamentale tra due tipi di condotte.
Reato di detenzione ai fini di spaccio
L’art. 73 T.U. Stupefacenti punisce penalmente chiunque, senza l’autorizzazione prevista dalla legge, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, o consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope. Il comma 1-bis dell’articolo 73 (introdotto dalla cosiddetta legge “Fini-Giovanardi” – D.L. n. 272/2005, convertito con modificazioni dalla L. n. 49/2006) specifica che è punito con le medesime pene chi illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che:
«a) per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute […] ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale».
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune parti della legge “Fini-Giovanardi”, in particolare per quanto riguarda il sistema tabellare unificato e il trattamento sanzionatorio indifferenziato tra droghe cosiddette “leggere” e “pesanti“. Tuttavia, il criterio della quantità, insieme ad altri, è rimasto un punto di riferimento per la valutazione della destinazione della sostanza.
Il comma 5 dello stesso articolo 73 prevede, inoltre, una fattispecie attenuata di reato (comunemente nota come “spaccio di lieve entità” o “piccolo spaccio”) se il fatto, “per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità” (modificato dalla Legge n. 79/2014).
Detenzione per uso personale (illecito amministrativo)
L’art. 75 T.U. Stupefacenti stabilisce che chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto a sanzioni amministrative.
Queste sanzioni consistono nella sospensione da 1 mese a 3 anni (a seconda del tipo di sostanza stupefacente):
- della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori,
- della licenza di porto d’armi,
- del passaporto e di ogni altro documento equipollente,
- del permesso di soggiorno per motivi di turismo per i cittadini extracomunitari.
La giurisprudenza amministrativa (ad esempio, TAR Lazio, sentenza n. 11793/2018) ha precisato che la sanzione amministrativa si applica a chi “comunque detiene” sostanze stupefacenti, e la finalità di uso esclusivamente personale è ciò che determina l’applicazione di queste misure amministrative anziché delle più gravi sanzioni penali previste per lo spaccio.
Se una persona viene trovata in possesso di una modica quantità di marijuana e il giudice, sulla base di tutti gli elementi, si convince che quella sostanza era destinata unicamente al suo consumo personale, non subirà un processo penale per spaccio, ma potrà essere sottoposta a un procedimento amministrativo davanti al Prefetto, con possibili conseguenze come la sospensione della patente per un certo periodo. Se, invece, la stessa persona viene trovata con una quantità più consistente, magari già suddivisa in dosi, e in possesso di un bilancino di precisione e di una somma di denaro ritenuta provento di spaccio, allora rischierà un processo penale per il reato di detenzione ai fini di spaccio.
Attenzione però: poiché la norma punisce solo la detenzione, non può essere punito chi ha già assunto la sostanza stupefacente (a meno che non sia alla guida di un veicolo). Dunque un poliziotto non potrebbe mai fare un test della droga a una persona che cammina a piedi, anche se appare visibilmente alterata. Al contrario però potrebbe perquisirla per vedere se ha (ancora) droga in dosso.
La legge prevede quantità precise per l’uso personale?
La definizione legale di “quantità” rilevante ai fini della distinzione tra uso personale e spaccio ha avuto un percorso normativo piuttosto travagliato in Italia.
Prima del 1990 e fino al 1993 esisteva il concetto di “modica quantità” e, successivamente, quello di “dose media giornaliera” (DMG). La legge tentava di fissare dei limiti quantitativi (spesso basati sul numero di dosi medie giornaliere) al di sotto dei quali si presumeva l’uso personale.
Il referendum abrogativo del 1993 ha abrogato il sistema basato sulla dose media giornaliera. A seguito di ciò, la giurisprudenza e parte della dottrina hanno interpretato l’esito referendario nel senso che il consumo di sostanze stupefacenti fosse penalmente irrilevante e, di conseguenza, lo fossero anche alcune condotte prodromiche al consumo personale, come la detenzione. Secondo questa interpretazione, una volta accertato l’esclusivo uso personale, non avrebbe dovuto più sussistere alcun limite quantitativo rigido oltre il quale la detenzione diventasse automaticamente reato (TAR Lazio, sentenza n. 1717/2003; TAR Brescia, sentenza n. 349/2001).
La Legge “Fini-Giovanardi” (D.L. n. 272/2005, convertito in L. n. 49/2006) ha segnato un’inversione di tendenza, reintroducendo un forte riferimento alla quantità. In particolare, l’art. 73, comma 1-bis, lettera a), ha stabilito che la detenzione è finalizzata allo spaccio (e quindi costituisce reato) quando la sostanza, “per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute…”, appare destinata a un uso non esclusivamente personale. Sono stati quindi emanati decreti ministeriali che fissavano delle soglie quantitative indicative per le diverse sostanze. Il superamento di tali soglie faceva scattare una presunzione (relativa, cioè superabile con prova contraria) di destinazione allo spaccio.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse parti della legge “Fini-Giovanardi”, riportando in vigore la precedente distinzione tabellare tra droghe “leggere” e “pesanti” e mitigando l’automatismo sanzionatorio. Tuttavia, il criterio della quantità, seppur non più come presunzione assoluta legata al superamento di tabelle rigide, è rimasto uno degli elementi importanti che il giudice deve considerare nella sua valutazione complessiva.
La situazione attuale è dunque la seguente: oggi, pur non essendoci più il concetto di “dose media giornaliera” come limite fisso e dirimente, e pur essendo stato ridimensionato l’impatto delle tabelle ministeriali introdotte dalla Fini-Giovanardi, la quantità di sostanza detenuta continua a essere uno degli indici principali, ma non l’unico né necessariamente il più importante, per determinare la finalità della detenzione.
Quali elementi considera il giudice per decidere sull’uso personale oggi?
Per distinguere la detenzione per uso personale (illecito amministrativo) dalla detenzione finalizzata allo spaccio (reato), il giudice deve effettuare una valutazione globale, tenendo conto di una pluralità di indici sintomatici, che includono:
- la quantità della sostanza stupefacente: una quantità oggettivamente ingente è più difficilmente compatibile con un uso meramente personale e può far propendere per la finalità di spaccio. Al contrario, una quantità minima può essere considerata compatibile con l’autoconsumo. Il superamento dei limiti quantitativi indicativi eventualmente ancora contenuti in decreti ministeriali (come quelli originariamente previsti dall’art. 73, comma 1-bis, lett. a) del T.U. Stupefacenti) costituisce un elemento di forte presunzione di destinazione allo spaccio, ma si tratta di una presunzione relativa, che può essere vinta da altri elementi di prova;
- la qualità e il tipo di sostanza: la natura della sostanza (ad esempio, marijuana o eroina) e il suo grado di purezza (la percentuale di principio attivo) possono influenzare la valutazione, anche in relazione al numero di dosi potenzialmente ricavabili;
- le modalità di presentazione e confezionamento: questo è spesso un indice molto significativo. Il ritrovamento della sostanza già suddivisa in singole dosi (bustine, involucri, “palline”), la presenza di materiale tipicamente utilizzato per il confezionamento (come cellophane, carta stagnola, nastro adesivo, bustine di plastica vuote), o il possesso di bilancini di precisione sono considerati forti indizi di un’attività di spaccio;
- le circostanze dell’azione: il contesto in cui avviene il controllo è rilevante. Ad esempio, il luogo (vicinanza a scuole, locali pubblici, zone note per lo spaccio), il momento del controllo, l’eventuale possesso di ingenti somme di denaro contante di cui non si sa giustificare la provenienza, la detenzione contemporanea di più tipologie di sostanze stupefacenti diverse, i contatti telefonici o i messaggi presenti sul cellulare del soggetto che possono far riferimento a cessioni di droga;
- la situazione personale del detentore: lo stato di tossicodipendenza o di assuntore abituale del soggetto, accertato attraverso certificazioni mediche o altri elementi, può essere un fattore a sostegno della tesi dell’uso esclusivamente personale. Tuttavia, anche un tossicodipendente può spacciare (magari per finanziare la propria dipendenza), quindi questo elemento da solo non è dirimente se gli altri indici depongono in senso contrario;
- l’eventuale attività di coltivazione: la coltivazione di piante da cui si ricavano sostanze stupefacenti (come la cannabis) è di per sé un reato ai sensi dell’articolo 73 del T.U. Stupefacenti. Tuttavia, una importantissima sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (la n. 12348 del 2020) ha stabilito che non è penalmente rilevante la coltivazione domestica di minime dimensioni, effettuata con tecniche rudimentali, destinata al consumo esclusivo e personale del coltivatore, e condotta con modalità tali da escludere qualsiasi rischio di diffusione della sostanza a terzi. Si tratta di un’interpretazione molto restrittiva che si applica solo a casi di coltivazione veramente minima e casalinga. Già la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 109 del 2016, aveva sottolineato che la Decisione Quadro europea 2004/757/GAI (relativa alla lotta al traffico di droga) non obbliga gli Stati membri a configurare come reato la coltivazione per uso personale, ma neppure impedisce loro di farlo.
Se una persona viene trovata con una quantità di cocaina che, di per sé, potrebbe essere considerata compatibile con un uso personale di pochi giorni per un consumatore abituale, ma questa cocaina è suddivisa in 15 piccole dosi identiche, e la persona ha con sé anche un bilancino di precisione e 300 euro in banconote di piccolo taglio, è molto probabile che il giudice, valutando tutti questi elementi insieme, concluda per la detenzione ai fini di spaccio, nonostante la quantità totale non sia magari elevatissima.
Un poliziotto può detenere droga per uso personale?
Per coloro che appartengono a Corpi militari (Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri) o a Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, ecc.), la questione della detenzione di droga, anche per uso personale e in modiche quantità, assume contorni ancora più delicati e severi.
Anche se la condotta, dal punto di vista penale o amministrativo generale, potesse rientrare nell’uso personale, le ripercussioni sul piano disciplinare possono essere gravissime, arrivando fino alla rimozione dal servizio o alla perdita del grado. La giurisprudenza amministrativa è tendenzialmente molto rigorosa in questi casi, considerando che gli appartenenti a tali Corpi sono istituzionalmente preposti, tra le altre cose, proprio alla repressione del fenomeno dello spaccio e della diffusione di sostanze stupefacenti. Il semplice fatto di doversi procurare la sostanza, anche per mero uso personale, implica necessariamente un contatto con il mondo dello spaccio, che è di per sé considerato incompatibile con lo status e i doveri di un militare o di un agente di polizia (Consiglio di Stato, sentenza n. 522/2023).
Tuttavia, è stato anche sottolineato in passato un principio di proporzionalità della sanzione disciplinare: la sanzione massima (come la rimozione) potrebbe non essere giustificata per un singolo ed episodico atto di assunzione di droghe leggere che non abbia lasciato alcuna traccia organica significativa e non abbia avuto alcuna ripercussione diretta o indiretta sul servizio (TAR Lazio, sentenza n. 1573/2005). Ciononostante, la gravità intrinseca della condotta per chi riveste determinate funzioni pubbliche di garanzia e sicurezza rimane un fattore preponderante nella valutazione disciplinare.
In sintesi, quanta droga posso tenere per non rischiare?
Come si è visto, non esiste una risposta numerica univoca o una “quantità sicura” universalmente valida che garantisca di non incorrere in problemi con la legge. La normativa italiana non fissa limiti quantitativi rigidi e predeterminati che separino in modo automatico e inequivocabile l’illecito amministrativo (punito con sanzioni come la sospensione della patente) dal reato di spaccio (punito con la reclusione e una multa).
La valutazione è sempre effettuata ex post (cioè, dopo il fatto) dal giudice (o, in una fase preliminare, dalle forze dell’ordine e dal Pubblico Ministero) sulla base di un complesso di elementi e indici, sia oggettivi che soggettivi.
La quantità di sostanza stupefacente rinvenuta è solo uno di questi indici, seppur rilevante.
Altri fattori, spesso determinanti, includono le modalità di conservazione e presentazione della sostanza (ad esempio, se è già suddivisa in dosi), la presenza di strumenti tipici dello spaccio (bilancini, materiale per il confezionamento), le circostanze specifiche del controllo (luogo, ora, presenza di denaro sospetto), e la personalità e la situazione del detentore (ad esempio, se è un consumatore abituale noto o meno).
Il riferimento ai “limiti massimi” indicati con decreto ministeriale, come previsto dall’articolo 73, comma 1-bis, lettera a) del Testo Unico Stupefacenti, funge da criterio orientativo che può generare una presunzione (relativa, quindi superabile con prova contraria) di destinazione allo spaccio, ma non esclude mai una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto da parte del giudice.
Data l’assenza di soglie quantitative fisse e la significativa discrezionalità valutativa dell’autorità giudiziaria, la massima prudenza è d’obbligo. Il possesso di qualsiasi quantità di sostanza stupefacente espone a rischi legali, che possono variare dalla sanzione amministrativa alla condanna penale a seconda della valutazione complessiva della situazione.
