C’è un filo sottile ma resistentissimo che lega le generazioni, un filo fatto di ricordi, profumi e sapori: è il ricordo delle merende preparate dalle nonne, in quelle cucine che sapevano di farina, amore e pazienza. Non servivano grandi mezzi né ingredienti esotici. Bastava un tozzo di pane, un pomodoro colto nell’orto o un uovo appena raccolto per creare un momento di pura felicità.

“Che vuoi col pane?”: questa la domanda ricorrente, semplice e dolce, che apriva la porta al mondo delle merende casalinghe. A volte era pane burro e marmellata, altre volte solo un filo d’olio e un pizzico di sale. E poi c’era quella versione dolce fatta di pane bagnato con un po’ d’acqua e cosparso di zucchero, oppure, nei giorni più fortunati, una generosa cucchiaiata di miele appiccicoso. Sapori sinceri, nati dalla terra e cresciuti nel rispetto della stagionalità e della natura.

Le “merende di una volta” erano frutto di una cucina povera, ma incredibilmente ricca: di valori, di amore, di genuinità. Non esisteva il concetto di “bio” perché tutto lo era già. Il latte veniva munto al mattino, le uova raccolte nel pollaio, le conserve fatte in casa con la frutta dell’orto. Come scriveva qualche tempo fa La Repubblica in un’inchiesta sull’alimentazione infantile tradizionale, “il valore nutritivo dei cibi della memoria supera spesso, per qualità e autenticità, quello dei prodotti confezionati moderni”.

Un esempio per tutti? L’uovo sbattuto. Un tuorlo fresco, un cucchiaio di zucchero e la mano amorevole del nonno che mescolava lentamente, trasformando quegli ingredienti in una soffice crema color dell’oro. Si mangiava con il cucchiaino, lentamente, perché era un piccolo lusso. E se eri abbastanza grande, potevi aggiungere anche qualche goccia di caffè.

Le merende di oggi: pratiche, ma a quale costo?

Oggi le merende si trovano impacchettate sugli scaffali dei supermercati. Merendine al cioccolato, snack farciti, barrette energetiche. Sono pratiche, veloci, perfette per la vita frenetica di genitori sempre di corsa. Ma secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia 1 bambino su 3 è in sovrappeso. Una delle cause? Un consumo eccessivo di cibi industriali, ricchi di zuccheri raffinati, grassi idrogenati e additivi.

Le merende di oggi, pur essendo spesso più caloriche e complesse dal punto di vista industriale, sono povere in termini nutrizionali. E soprattutto, sono lontane anni luce da quell’esperienza sensoriale ed emotiva che erano le merende preparate in casa, con amore e attenzione.

Il ritorno al “fatto in casa”

C’è però una crescente sensibilità verso il ritorno a un’alimentazione più semplice e naturale. Lo dimostrano i numerosi blog di cucina tradizionale, le rubriche televisive dedicate al cibo genuino e il successo delle iniziative nelle scuole per l’educazione alimentare. Come ha affermato Slow Food in una recente campagna, “insegnare ai bambini il gusto autentico è un atto di amore e di responsabilità”.

Insegnare loro ad apprezzare una fetta di pane e olio, una marmellata fatta in casa, una ciambella preparata con ingredienti semplici, significa educarli a un rapporto più sano con il cibo. Significa trasmettere una cultura del rispetto: per la terra, per la stagionalità, per se stessi.

Le merende genuine di una volta non sono solo una questione di gusto o salute. Sono un patrimonio culturale, un’eredità affettiva che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Ogni volta che prepariamo pane e pomodoro ai nostri figli, stiamo raccontando una storia. La storia di una cucina povera ma felice, fatta di mani che impastano, di occhi che sorridono, di tempi lenti.

Forse è tempo di recuperare quei riti e quei sapori. Non per nostalgia, ma per futuro.

N.B.

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