Il tajùt non è un bicchiere di vino, ma un rito sociale che celebra l’amicizia, l’identità locale e il piacere delle piccole cose. In un mondo sempre più frenetico, ci ricorda l’importanza della pausa, dell’incontro e della condivisione. Come si dice in Friuli: “Un tajùt no si nega a nissun.”

“Se vedìn par un tajùt?” — è un invito che ogni friulano conosce bene. Non si tratta solo di bere un bicchiere di vino, ma di partecipare a un vero e proprio rito quotidiano che affonda le sue radici nella cultura contadina, nel senso di comunità e nella lentezza del vivere.

Cos’è il Tajùt?

La parola tajùt (o taj di vin), in friulano, indica un piccolo bicchiere di vino, solitamente bianco, che viene bevuto in compagnia, spesso prima di pranzo o cena, o come scusa per una pausa conviviale durante la giornata. Il termine deriva dal verbo “tagliare”, perché anticamente si usava tagliare il vino con l’acqua, per alleggerirlo. Oggi il tajùt è rigorosamente puro, ma il nome è rimasto.

Più che un’azione, il tajùt è un momento di relazione. Si beve lentamente, accompagnato da chiacchiere, racconti, battute, notizie del giorno. Succede nei bar di paese, nelle osterie, nelle sagre, o anche nei cortili di casa. È un gesto semplice ma ricco di significato: il vino è il mezzo, non il fine.

Nel tempo, il rito ha assunto anche una valenza identitaria. Fare un tajùt è riconoscersi parte di una comunità, condividere un codice culturale non scritto. È un’abitudine intergenerazionale: giovani, adulti e anziani si incontrano allo stesso tavolo, spesso attorno a un bicchiere di Friulano, Refosco, Merlot o Verduzzo.

Il Friuli-Venezia Giulia è una delle regioni vitivinicole più prestigiose d’Italia. I suoi vini bianchi sono apprezzati a livello internazionale, ma nel tajùt non conta solo la qualità: conta l’origine, la familiarità, la semplicità. Spesso è vino fatto in casa, portato in bottiglia di plastica, servito in un bicchiere senza pretese. L’importante è che sia “di fiducia”.

Il rito oggi

Oggi il tajùt resiste, nonostante i cambiamenti nei ritmi di vita, nelle abitudini e nelle norme sul consumo di alcol. Nelle città ha perso un po’ della sua spontaneità, ma nei piccoli centri è ancora forte. Alcuni locali propongono il “tajut time” come alternativa all’happy hour, per riscoprire l’autenticità del gesto.

Negli ultimi anni si è parlato anche di valorizzare il rito del tajùt come patrimonio culturale immateriale, proprio perché rappresenta un modo di vivere, di stare insieme, che rischia di perdersi.

Il tajùt non è un bicchiere di vino, ma un rito sociale che celebra l’amicizia, l’identità locale e il piacere delle piccole cose. In un mondo sempre più frenetico, ci ricorda l’importanza della pausa, dell’incontro e della condivisione. Come si dice in Friuli: “Un tajùt no si nega a nissun.”

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