Ciamar Marso, Batti Marso, Brusar Marso o addirittura alla cimbra Schella Martz: tanti modi per raccontare una storia che poi è tradizione e folklore della terra veneta, quella terra dove i fasti della Serenissima Repubblica di Venezia fatta di ricchi mercanti e abili viaggiatori intenti a solcare i mari di mezzo mondo si mescolava ad un entroterra povero e rurale alle prese con condizioni di vita spesso al limite.
A Venezia, invece di essere i primi mesi dell’anno, gennaio e febbraio erano considerati gli ultimi e il Capodanno che oggi festeggiamo il 31 Dicembre era invece celebrato il 1° di Marzo: inizialmente quello che a tutti gli effetti era il Capodanno Veneto cadeva il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia nel 421 e dell’annunciazione del Signore, ma fu poi spostato per comodità al primo del mese. Il risveglio della terra e delle stagioni festeggiato dal “More Veneto” non era solo una tradizione della Repubblica della Serenissima, ma anche di altre culture più antiche come l’Impero Romano che pare lo festeggiasse prima del calendario imposto da Giulio Cesare nel 46 a.C.
Tradizioni che nei secoli sono arrivate a noi, con comunità che ancora ai nostri giorni l’ultimo giorno di febbraio scendono nelle strade e corrono nei campi improvvisando falò e fiaccolate, fuochi propiziatori a scacciare i rigori dell’inverno ingraziandosi l’arrivo della primavera, auspicando sia florida e favorevole alla buona semina.
In notti come queste sovente si vedevano bagliori e scintille di fuoco in tutte le colline e le alture anche nei nostri paesi dell’Alto Vicentino oltre che dell’Altopiano: bastava poi tendere un orecchio per udire campanacci, vecchie pentole e coperchi battuti fragorosamente ad accompagnare l’inverno o la ‘vecia’ alla porta, non più graditi.
Riti che quest’anno lasceranno il posto al silenzio, per i noti motivi: non senza che nel cuore di tanti veneti e non una fiamma di speranza si sia comunque accesa. Buon 1° Marzo.
Marco Zorzi