Alzi la mano chi nella propria vita non abbia avuto a che fare con una ‘pitima’. Una persona che si lamenta sempre, che è pedante come non mai e che nei suoi modi di fare o di dire rasenta la molestia. “Ti si na pitima”, con una o due ‘t’ variabilmente da quanto un veneto cerchi di italianizzare il termine, in qualsiasi casa si sarà sentita questa espressione, pronunciata nei confronti di quella persona che si lamenta sempre per nulla e che fa le bizze o i capricci se non riceve l’attenzione che vorrebbe. Una persona ‘pallosa’ insomma.
Ma da dove arriva questo termine?
Per scoprirlo bisogna fare un tuffo nel passato. Arrivando ai tempi delle repubbliche marinare. In quei tempi la ‘pitima’ era una persona che esercitava un mestiere riconosciuto e legittimato. Pitima, ai tempi della Repubblica di Venezia, era il termine con cui veniva definita una persona ingaggiata e pagata da creditori per seguire costantemente i loro debitori. Una sorta di esattore insomma, che inseguiva i suoi debitori ululando forti lamenti, per generare una vergogna nella persona dalla quale dove incassare i soldi.
Non tutti potevano essere una ‘pitima’. Per diventarlo serviva essere emarginati e disagiati, uno stato sociale al limite dell’assistenza sociale che il Doge spazzava via offrendo cibo e alloggio gratis. In cambio doveva assillare i debitori, vestito con un abito dal rosso acceso: con questo e con le sue lagne pubbliche era impossibile non notarlo.
Etimologicamente la parola ‘pitima’ deriva dal greco antico, riferendosi a ‘ciò che è posta sopra’. Anticamente in Grecia, ‘pitima’ era un decotto di aromi nel vino che si applicava caldo per fini terapeutici: un impacco che veniva appoggiato delicatamente sopra le ferite causando fastidi e impacci, oltre a limitare la mobilità della persona malata o ferita.
di Redazione AltovicentinOnline
