“Aveva già avuto rapporti dunque era in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione”. È uno dei passaggi della sentenza di primo grado con cui il tribunale di Macerata aveva assolto tre anni fa un 31enne dall’accusa di violenza sessuale commessa nel 2019 su una 17enne. Oggi la Corte d’appello di Ancona ha ribaltato il verdetto e ha condannato l’imputato a tre anni di carcere per gli abusi sessuali seppure nella forma di minore gravità con condanna inferiore a quella sollecitata in prima battuta dalla sostituta procuratrice generale Cristina Polenzani e cioè quattro anni e un mese, come chiesto in primo grado.
La sentenza della Corte è arrivata nel tardo pomeriggio dopo una giornata di polemiche suscitate da alcuni passaggi del verdetto dei giudici di primo grado che avevano escluso lo stupro sulla base di varie considerazioni tra cui anche il fatto che la 17enne non avrebbe “in alcun modo opposto resistenza né invocato aiuto” né avrebbe “cercato di sottrarsi ad esempio aprendo la portiera posteriore pur potendolo fare tranquillamente”.
“La sentenza choc del tribunale di Macerata, che ha assolto in primo grado un giovane dallo stupro perché la ragazza non era vergine e quindi sapeva cosa l’aspettava sul sedile posteriore di un’ auto, conferma che in Italia c’é assoluto bisogno di una legge sul consenso. – hanno scritto i parlamentari del Pd in commissione Femminicidio Cecilia D’Elia, vicepresidente, Sara Ferrari, capogruppo dem, Filippo Sensi, Valeria Valente, Antonella Forattini e Valentina Ghio – Chiediamo alla Commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio e al Parlamento di schierarsi senza distinzione di colori politici e appartenenze su una battaglia per l’approvazione di un testo di civiltà per le donne”.
In aula le richieste dell’accusa di condanna per violenza sessuale. La giovane – assente al processo -, ha detto la pg, acconsentì ad “effusioni” ma manifestò subito la volontà di non andare oltre. “Per non incorrere in violenza il consenso ci deve essere dall’inizio alla fine del rapporto – ha sottolinea l’accusa – l’imputato non percepì volontariamente la volontà della ragazza”.
La giovane, hanno ricordato il pg e il legale di parte civile avvocato Fabio Maria Galiani, uscì dall’auto e raccontò subito alla sua migliore amica che gli era stato fatto del male. Dopo i fatti inoltre dovette ricorrere a un sostegno psicologico di due anni. Nell’auto, aveva raccontato la giovane, tentò di urlare ma non vi riuscì mentre l’imputato la bloccava con una mano ed era troppo più forte di lei.
I difensori del 31enne, presente al processo, gli avvocati Mauro Riccioni e Bruno Mandrelli, si sono detti sorpresi dal verdetto, definendo la sentenza di primo grado “lineare” e annunciando il ricorso in Cassazione dopo aver letto la motivazione che verrà depositata entro 90 giorni.
La difesa ha parlato di processo indiziario, elencando una serie di circostanze e contraddizioni che, a suo giudizio, deponevano a favore di una mancanza di credibilità della ragazza; tra queste il fatto che non avrebbe urlato o chiesto aiuto – a circa 200 metri da lì c’era un’altra coppia con cui i due erano usciti – e l’assenza di lesioni riscontrate durante gli accertamenti medici prima di sporgere la denuncia.
