Bullismo che fa male anche se non colpisce direttamente, un po’ come il fumo passivo, che si respira pur rimanendo lontani dalle sigarette. E’ il caso di Matteo, affetto dalla sindrome di Down. Un bimbo che viveva nella sua ‘speciale’ felicità, fatta di affetti e di cura della famiglia. Una felicità durata 11 anni, fino a quando il piccolo ha visto, ciò che alcuni bulli hanno fatto “a uno come lui” ed è scoppiao a pangere per la prima volta nella sua vita.

La toccante testimonianza è stata raccontata dalla mamma di Matteo, che ha riferito ‘la prima volta’ di suo figlio in una lettera spedita ai colleghi dell’Eco del Sud, che riportiamo perchè quello che è accaduto a Matteo può accadere ovunque e questa mamma è una di noi:

«Ieri, ho visto il mio bambino piangere. Matteo ha 11 anni, e non piange mai, anzi, a pensarci bene non aveva mai pianto. E’ un bambino allegro, sereno, vivace quanto basta, ama la Tv, ha scoperto da poco che oltre i cartoni animati c’è dell’altro e quell’altro lo divora. In famiglia cerchiamo, per quanto ci è possibile, di ‘filtrare’ la sua visione, impedirgli che certi programmi possano turbare quel mondo ideale che abbiamo cercato, tutti, di creargli attorno. Perché Matteo è down.

Ma a volte quel controllo succede sia meno serrato, e Matteo, in uno di questi momenti, ha visto quello che non doveva vedere. Non sappiamo se un film oppure una di quelle trasmissioni-verità in cui vengono riportati fatti di cronaca con dovizia di particolari inquietanti: Matteo ci ha solo raccontato che ha paura che possa accadergli quello che ha subito un ‘bambino come lui’.

«Mamma – mi ha detto – quel bambino che hanno picchiato era come me. Lo hanno preso a pugni, gli è uscito sangue dal naso e sono scappati». Ha capito questo, Matteo, di quello che ha visto. In un film, una trasmissione in cui si parla di violenze su disabili, non so. So soltanto che ha capito quello che non doveva capire: che il mondo è cattivo e sciocco. E questo non lo capisce, invece, chi, attraverso uno schermo, entra nelle case, nella vita, nelle menti, delle persone e, se queste sono ‘fragili’, le sconquassa.

Io non voglio fare del mio caso personale un fatto di Stato: voglio dire che ammetto la ‘colpa familiare’ della disattenzione al controllo di Matteo, ma da insegnante, a contatto costante con ragazzini ‘normali’, scopro quanto male facciano i media, e con essi i social, in queste giovanissime menti, non ancora formate e non in grado di ‘capire’ il confine tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

E credetemi, penso più ai cosiddetti ragazzi ‘normali’ che a quelli ‘come Matteo’ nel manifestare il ‘pericolo’ che Tv, giornali, social rappresentano in questa fascia di età. Perchè i primi non sono circondati, ammantati, da quell’alone di protezione necessario, invece, ai secondi. I primi, spesso, ahinoi, sono abbandonati, a briglia sciolte, nella società del ‘come va va’. Ecco perché Tv, giornali e social hanno una responsabilità enorme nel nostro vivere, perché dispongono di un potere che, evidentemente, non calibrano e fanno danni.

Matteo adesso è tranquillo, gli abbiamo detto che quello che ha visto era solo uno scherzo, hanno finto di picchiare un ‘bambino come lui’ per uno spettacolo al circo (come quando sbattono la torta in faccia al pagliaccio) e quello che ha visto non era sangue ma ketchup. Ci ha creduto. Nel suo mondo può succedere che una serie di pugni in faccia ti faccia uscire ketchup dal naso.

Già, nel suo mondo, che proteggeremo, io e mio marito, con il coltello fra i denti. Perché non collida mai con quello dei ‘normali’».

Amelia Caruso

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