“Tutta la popolazione generale ha avuto una tendenza all’ansia sociale e uno stato di iper allerta, di continua vigilanza di cui ancora non si conosce la portata delle conseguenze. È quello che chiamo il fiume carsico, la cui fuoriuscita la vedremo tra qualche tempo“. Lo afferma Claudio Mencacci, psichiatra e co-presidente della Società italiana di neuro-psicofarmacologia (Sinpf), che, interpellato dalla Dire, spiega come il distanziamento e l’estrema precarietà di questi mesi di pandemia abbiano inciso su ampie fasce di popolazione.
L’ansia sociale e la fobia sociale sono ormai presenti anche in coloro che non soffrono di introversione o si sottraggono all’esposizione sociale. “È stato stimolato in tutti noi l’erroneo distanziamento sociale, un vero e proprio evitamento- afferma il professore- perché il messaggio è chiaro: l’altro può rappresentare il pericolo. Però un conto è l’evitamento e l’invito a non incontrarsi, un altro è la sofferenza per ansia e fobia sociale nelle persone che già avevano paure o timori di apparire goffi, non ben accetti, facilmente criticabili, che già provavano vergogna“.
L’esposizione per “lunghi periodi alla paura può indurre a modificazioni epigenetiche e produrre disturbi di ansia- avverte Mencacci- abbiamo infatti visto una crescita dei disturbi panici e dell’ansia sociale”.
Gli adolescenti, il genere femminile e le persone più anziane sono state più esposte all’ansia sociale: “I giovani soprattutto perché più sensibili nei confronti del giudizio e delle critiche altrui, e perché è mancato loro un luogo di interazione, uno spazio di confronto e apprendimento. Questa situazione li ha posti in una condizione di maggiore sofferenza”. Altrettanto per le donne, aggiunge Mencacci: “Il genere femminile è stato soggetto a numerose minacce, come la perdita del lavoro, e a sovraccarichi di impegni anche familiari che hanno condotto a un maggior isolamento”.
Riconoscere queste condizioni significa guardare al loro ritorno funzionale e clinico, spiega il presidente Sinpf: “Se l’ansia sociale o la vergogna sono così intense da far perdere occasioni di incontro, lavoro, socialità- aggiunge- siamo di fronte ad una sintomatologia che impatta pesantemente sulla qualità di vita delle persone. Un esempio è la classica paura di fare l’esame, che supera l’aspetto fisiologico e diventa evitamento. Lo stesso per la depressione: che non è demoralizzazione o tristezza ma perdita di interesse, piacere, con una intensità e una durata nel tempo. Quando non sono più condizioni transitorie ma disturbi che impattano sull’aspetto funzionale della nostra vita”, sottolinea Mencacci.
Agenzia Dire