Una lezione da donna e per le donne. Prima semplice nuotatrice, poi campionessa olimpica e dirigente sportiva, infine dottoressa: Federica Pellegrini sale in cattedra e aggiunge un altro piccolo tassello al suo impegno per gli atleti e per il genere femminile in particolare, conquistando con la sua tesi sull’influenza del ciclo mestruale sulla performance sportiva delle atlete, presentata in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate, da parte dell’Università San Raffaele di Roma. Un tema “a me veramente caro”, ha confessato la Divina emozionata, ricevendo il diploma magistrale nella cerimonia che l’ha vista affiancata dal marito e allenatore, Matteo Giunta, ma anche dal presidente del Coni, Giovanni Malagò. “È una giornata incredibile, sono veramente felice. È il coronamento di una parte della mia vita. Portare una tesi sul ciclo mestruale nelle atlete mi ha dato tanta soddisfazione”, le sue parole al termine dell’esposizione della tesi in cui ha messo la donna al centro, conquistando un altro pezzetto di autonomia femminile e liberando le donne da un tabù. “Spesso il ciclo è stato ritenuto un alibi per prestazioni scadenti”, ricorda Pellegrini ripercorrendo la sua carriera, pensando a quando aveva 12 anni e si è trovata a saltare il consueto allenamento in piscina per paura e insicurezza, per l’ansia di dover parlare a qualcuno del suo ‘segreto’, soprattutto agli allenatori, praticamente tutti uomini. Perché il background alla fine era quello. “Solo pochi decenni fa lo sport femminile era attivamente rifiutato, poi semplicemente ignorato, quindi visto con qualche riserva e limitato alle discipline che collimavano con l’ideale estetico ed espressivo femminile. Solo di recente e solo in alcune culture lo sport tra le donne è stato accettato ed attivamente sostenuto”. Molti anni sono passati da quando Rudolf Obermann, un unicum in Europa a fine ‘800, ammetteva lo sport al femminile e “la stessa medicina iniziava lentamente a interessarsi a forme leggere e contenute di esercizio benefiche per le donne, ma soprattutto nell’ottica di assicurare loro una buona funzione riproduttiva”, ha spiegato Pellegrini. A un certo punto, però, ci si accorge che le differenze ormonali possono essere ‘sfruttate’ per la prestazione sportiva: ma sono ancora gli anni bui, ricorda l’ex nuotatrice ora membro del Cio, del “doping di Stato”, addirittura delle “gravidanze programmate per poi interromperle solo con l’obiettivo di aumentare gli ormoni maschili e migliorare le performance”. Loro, le atlete, contano poco. Nessuno chiede come stanno in ‘quei giorni’, quali criticità affrontano, come vedono cambiare il loro corpo e cercano di adattarlo a un impegno fisico e agonistico intenso, spesso portato al limite. “La mia personale esperienza di atleta di vertice è stata difficile soprattutto nel primo decennio, perché percepivo differenze di trattamento dovute al mio genere sessuale”, ricorda ancora Pellegrini, mentre “solo recentemente la situazione si è ribaltata: proprio la mia condizione di atleta affermata e di successo mi consente di avere una visibilità particolare e posso parlare liberamemte delle difficoltà delle donne, fornendo loro un contributo per superarle”. Dall’instabilità emotiva accentuata fino alle diverse fasi del tono dell’umore, dall’ansia all’insicurezza, fino alla differenza di quantità e qualità dei processi cognitivi, a una minore aggressività fisica che si traduce in un abbassamento della competitività sia in allenamento che in gara. Il ciclo influisce, eccome. Si pensa che con l’utilizzo dei contraccettivi le cose possano migliorare, “regolarizzarsi”, come si dice in questi casi. “Ma non si tiene abbastanza conto che l’impatto di alcuni trattamenti può anche peggiorare la situazione”, fa notare Pellegrini, spiegando che “le conoscenze sull’impatto del ciclo sono ancora molto limitate, l’argomento è sempre un tabù e spesso considerato con sufficienza perfino all’interno dello staff di un atleta. “E invece le cose cambiano molto, ad esempio, con le fluttuazioni ormonali in un ciclo spontaneo – molto maggiori e spiccate – rispetto a quelle ‘orientate’ grazie al trattamento contraccettivo orale”. La campionessa spiega che nella sua lunga carriera sportiva ha assunto “solo tre volte i contraccettivi orali: nel 2005, nel 2007, poi nel 2020 e solo per due mesi, per spostare il ciclo di qualche giorno perché la mia gara ai Giochi di Tokyo cadeva proprio nel periodo ormonale per me meno opportuno. E non volevo ripetere l’esperienza negativa di Rio 2016, quando ho gareggiato in piena crisi premestruale” perdendo una medaglia nella finale dei 200 metri, come dirà qualche settimana dopo quello shock. Qui cambia la percezione di Federica. “Ho iniziato a voler capire, avere un ciclo regolare non mi bastava più. Dal 2016 inizia a compilare una tabella quotidiana annotando “percezione di sforzo, valutazione dell’umore, temperatura buccale” per ogni giorno fino al 28 luglio 2021, giorno della sua ultima finale olimpica. Un lavoro maniacale che “mi ha dato la sensazione di avere più controllo sui miei processi fisiologici e in completa sintonia con il mio staff”. Il resto è storia, sportiva e non. “Sicuramente c’è più consapevolezza del tema, non ancora al 100% ma secondo me nello sport di alto livello è una cosa su cui bisogna lavorare per il benessere completo delle atlete”. L’obiettivo, ancora una volta, è vincere. Le corsie e l’acqua clorata stavolta c’entrano poco. La medaglia di Federica è quella di superare un pregiudizio, abbattere un altro muro e oltrepassare ostacoli, non semplicemente aggirarli. “Sicuramente noi donne saremo più complicate, ma vale la pena conoscerci un po’ meglio”.
Federica Pellegrini, laurea contro i pregiudizi: “Basta tabù sul ciclo mestruale”
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