Non sono affatto favorevole all’ipotesi della riapertura dopo Pasqua e non può passare l’idea che la scuola sia un ambito sicuro e controllato, in un momento in cui le varianti peggiorano la situazione e la trasmissibilità del virus proprio a scuola. I bambini, quelli più piccoli, non sono garantiti dalle mascherine perché se le indossano non è detto che lo facciano correttamente, diversamente dai più grandi. L’unica alternativa è fare test a tappeto, non tamponando però i più piccoli. Serve quindi accelerare sulla validazione dei test salivari, non immagino che riusciremo a farlo in poche ore ma mi aspetto che si faccia”. Così Massimo Galli, direttore di malattie infettive del Sacco di Milano, ospite de ‘L’aria che tira’ su La7.

Ma Sara Gandini dell’Istituto Europeo di Oncologia,  insieme ad altri colleghi scienziati, ha realizzato uno studio che dimostra come la trasmissione del SARS-CoV-2 nelle scuole è persino nettamente inferiore rispetto ad altre coorti di popolazione.

‘ E’ un giorno storico: abbiamo pubblicato su The Lancet lo studio sui contagi nelle scuole, Draghi interviene in TV per dire che nuove evidenze scientifiche portano a far riaprire le scuole ed è stato vinto il ricorso al TAR che impugna il DPCM del 2 marzo, provvedimento che ha sospeso le attività scolastiche. Sono felice perché questo significa che sulla scuola dovranno essere riviste le decisioni sulla base dei dati scientifici“. A dirlo è la professoressa Sara Gandini dell’Istituto Europeo di Oncologia, che insieme ad altri colleghi scienziati, ha dimostrato che la trasmissione del SARS-CoV-2 nelle scuole è persino nettamente inferiore rispetto ad altre coorti di popolazione.

 Professoressa Gandini, cosa dimostra il vostro studio?

“Fino alle scuole medie, il tasso di trasmissione del virus tra gli studenti è del 39% più basso rispetto ad altre classi di popolazione, questo dato è ancora basso tra gli allievi delle scuole superiori anche se la trasmissione è maggiore rispetto ai giovanissimi e si presenta più simile alla dinamica riscontrata tra i docenti. L’indagine rileva quindi che non solo a scuola ci si contagia meno ma che stare in classe permette di contenere l’epidemia perché in questo modo i ragazzi restano in luoghi maggiormente sicuri, controllati e anche testati: gli studenti e i docenti hanno fatto molti test e tamponi nei mesi in cui gli istituti sono rimasti aperti. La scuola non è stata la responsabile della seconda ondata“.

Su quali dati avete lavorato?

“Lo studio, il primo a farlo, intreccia dati di tipo diverso e su tutto il territorio nazionale: Istituto superiore di sanità, dati del tracciamento delle Asl e della protezione civile, test positivi diagnosticati in ragione di cluster e attività di sorveglianza epidemiologica, abbiamo fatto fare dei nuovi questionari, i database del ministero dell’istruzione. Questo lavoro è stato anche citato dal Centro per le malattie infettive americano che ha pubblicato un report sulla scuola, nei giorni scorsi, rilevando che con i protocolli vigenti si riesce a contenere il contagio all’interno delle scuole, anzi che gli istituti sono luoghi sicuri, per quanto nessun contesto in una pandemia presenta un rischio zero. Se si chiudono le scuole i ragazzi devono essere gestiti da persone esterne al nucleo familiare e questo alimenta la trasmissione del virus. Poi c’è l’aspetto del danno psicologico sulle chiusure della scuola che invece è certo. Tutti i nostri report, in ogni caso, sono stati consegnati al ministero dell’istruzione, già nei giorni scorsi; così come abbiamo fatto pervenire i nostri dati al Cts. Già a dicembre i dati su cui abbiamo lavorato erano nella disponibilità dei decisori politici”.

Però in questi mesi c’è stato il ruolo giocato dalla variante inglese, che ha messo in allarme il sistema, il quale infatti ha registrato un incremento dei casi nei più giovani

“La variante inglese è sicuramente più contagiosa, mettendo in crisi tutto il sistema, ma hanno interpretato questa contagiosità come se fosse correlata alla scuola ma anche in questo caso ci sono altri dati e report che dimostrano che l’andamento del contagio nelle scuole è stato lo stesso. La scuola, in questi mesi in cui era già emersa la variante ‘Uk’ è stata sovra-campionata: i tanti test hanno fatto emergere maggiori infezioni ma che c’erano già e questo aumento non è confrontabile con gli studi precedenti. Se si fa il tasso dei positivi rispetto al numero di tamponi fatti, per età e nel tempo, non c’è un aumento tra i giovani del Covid-19″.

 La decisione del Tar, di sospendere la chiusura delle scuole in funzione del DCPM del 2 marzo, quindi cosa significa?

“Finalmente si terranno più in conto le evidenze scientifiche, sia per l’Italia che per gli altri Paesi: noi possiamo imparare anche dalla letteratura scientifica che riporta protocolli e procedure assunte in altri paesi e che hanno consentito di tenere aperte le scuole anche nel pieno della pandemia. C’è anche uno studio realizzato in Sicilia, molto puntuale, in cui analizzando i casi da novembre a marzo si è visto un decremento dei contagi. Attenzione però: dobbiamo anche dire che dei cluster nelle scuole ci sono, il tracciamento non è sempre perfetto, ma parliamo dell’1% nel rapporto tra tamponi e positività. E anche la prognosi negli insegnanti, che si ammalano di più rispetto agli studenti, non è più infausta rispetto ad altre categorie professionali. C’è una letteratura su questi dati, vastissima, di cui non si tiene conto, che è un tesoro a cui dobbiamo attingere. Il principio di precauzione dovrebbe farci dire che senza evidenze scientifiche non si può decidere di chiudere la scuola. Anche perché essere responsabili nei confronti delle nuove generazioni significa avere a cuore i danni che la chiusura sta comportando a queste generazioni, nel presente ma anche nel loro futuro”.

fonte: agenzia Dire

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia