Nella Striscia di Gaza mancherebbero all’appello decine di migliaia di persone, superando le stime ufficiali del locale ministro della Salute, che ieri riferiva di 54.981 morti, a cui a gennaio aggiungeva 11mila dispersi. A mettere in luce la discrepanza è uno studio dell’Università di Harvard.
Il rapporto dal titolo “The Israeli/American/Ghf ‘aid distribution’ compounds in Gaza: dataset and initial analysis of location, context, and internal structure” prende in esame report e mappe diffuse l’1 giugno dall’esercito israeliano in merito al lavoro che i militari a Gaza devono svolgere insieme alla Gaza humanitarian foundation (Ghf). Quest’ultimo è il consorzio statunitense incaricato da Israele a fine maggio di gestire la distribuzione degli aiuti tra la popolazione, in sostituzione del meccanismo dell’Onu e delle ong locali; un sistema è stato implementato dopo tre mesi di blocco totale all’ingresso di forniture per la popolazione civile, scattato il 2 marzo scorso.

L’esercito israeliano, secondo quanto mette in evidenza lo studio di Harvard, sostiene che a Gaza oggi risiedono 1 milione e 850mila persone, un calcolo effettuato per indicare alla Ghf il numero dei beneficiari a cui consegnare pacchi alimentari. Di queste persone, secondo l’esercito un milione risiede nell’area di Gaza City, 350mila nel centro della Striscia e altre 500mila persone nell’area meridoniale attorno ad Al-Mawasi.

La popolazione di Gaza è stimata tra 2 milioni e trecentomila e 2 milioni e centomila persone. Dal 7 ottobre 2023, il ministero della Salute del governo guidato da Hamas ha calcolato quasi 55mila morti, 11mila dispersi – presumibilmente sotto le macerie – mentre l’Ufficio di statistica palestinese (Pcbs) calcola che altri 100mila abitanti abbiano lasciato Gaza dal 7 ottobre 2023, in maggioranza verso il vicino Egitto. Se si incrociano questi dati con quelli dell’esercito, considerando che la popolazione iniziale era composta da 2.300mila persone, potrebbero mancare all’appello 284mila persone; se si ritiene invece che a Gaza risiedessero 2 milioni e centomila persone, risulterebbero 84mila dispersi.

Luigi Daniele, professore di Diritto internazionale penale e diritto internazionale umanitario alla Law school dell’Università Trent di Nottingham, commenta con l’agenzia Dire tali ipotesi di bilanci: “Se anche il dato di partenza sulla popolazione di Gaza fosse molto inferiore ai dati comunemente riportati (il più cauto in assoluto è di 2,1 milioni di residenti) staremmo comunque parlando di 150mila vittime”, ossia le 55mila vittime certificate, gli 11mila dispersi stimati dal governo di Gaza a cui vanno aggiunte le 84mila persone tenute fuori dai conteggi dell’esercito israeliano. La stima più alta che parte dalle 2,3 milioni di persone ne ricomprenderebbe invece “ben 350mila”.

Il docente tiene a sottolineare anche un altro aspetto: “A prescindere dalle stime sulle vittime- afferma- le persone ‘mancanti’ potrebbero semplicemente risiedere in aree diverse dalle tre prese in considerazione da Israele”. Se così fosse, “ciò indicherebbe che Israele semplicemente non ritiene che questa popolazione debba ricevere aiuti. Quindi, ci sono potenzialmente centinaia di migliaia di individui tenuti fuori dalla rete degli aiuti che, come osserva Alex De Waal, sono sostanzialmente condannate a morte”.

Alex De Waal è direttore alla World Peace Foundation e autore del saggio del 2017 “Affamamento di massa: la storia e il futuro della fame”. In un articolo pubblicato a maggio per la London Review of Books, evidenzia che “privato di qualsiasi nutrimento, un adulto precedentemente sano morirà di fame nel giro di sessanta-ottanta giorni. Un bambino soccomberà più rapidamente”.

Lo studioso continua: “In qualsiasi altra crisi umanitaria, una serie di altri fattori complica il quadro e la disponibilità alimentare complessiva non è un indicatore affidabile dei livelli di fame. In Somalia o in Sudan, ad esempio, quando il cibo scarseggia, le persone ricorrono ad alternative secolari come la raccolta di erbe selvatiche e bacche, o a strategie moderne come chiedere ai familiari all’estero di trasferire denaro. I palestinesi di Gaza non possono fare nulla di tutto ciò. Israele controlla ogni shekel, ogni sacco di farina, ogni contatto con il mondo esterno”.

Inoltre, continua De Waal, in situazioni di crisi alimentare, “le persone si spostano”, ma uscire dalla Striscia non è possibile. A Gaza, continua l’esperto, “c’è una carestia sotto assedio. Il blocco è anche un cordone sanitario: non abbiamo visto malattie trasmissibili come il colera, comuni in altre carestie, entrare a Gaza. E poiché i tassi di vaccinazione erano così alti prima del 7 ottobre, non ci sono state epidemie di potenziali malattie mortali come il morbillo. In quasi tutte le altre carestie registrate, le malattie trasmissibili sono le principali cause di morte. Gaza è un’anomalia, un laboratorio in cui scopriremo quanto stress nutrizionale una popolazione può sopportare prima di soccombere in massa”.

Riprende il professor Daniele: “Il rapporto medio tra vittime dirette del conflitto e vittime indirette – per malattie, mancanza di cure o fame – è in media di due vittime indirette per ogni vittime diretta, quindi un rapporto 2:1. Il problema a Gaza è che Israele persegue intenzionalmente una strategia militare che punta a causare vittime indirette, per questo sono convinto che il rapporto sarà di almeno 3:1. Sapendo che i morti sono 67mila, raggiungiamo quindi le 180mila vittime indirette, o più”.

Un calcolo che risulterebbe anche in linea con uno studio della rivista Lancet, che a luglio 2024 stimava 186mila vittime.

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