“È un personaggio mediatico, un grande comunicatore certamente. Però vista da qui, da San Severo, la situazione è diversa da come la descrive lui. Soumahoro non è mai andato con gli stivali nel fango, se non per farci dei video da postare sul web”. A parlare è don Andrea Pupilla, responsabile della Caritas di San Severo (Foggia) che, dopo il fascicolo aperto dalla procura di Latina, punta il dito anche sul vertice della Sinistra Italiana. “Lo avevo scritto a Fratoianni in privato di stare attento. Quando è stato candidato, ho inviato una mail all’onorevole, dicendogli che stava facendo un autogol. Ma naturalmente non mi ha risposto: evidentemente ha prevalso il racconto virtuale del leader di una nuova sinistra”. La replica di Fratoianni (qualcuno della direzione già ne chiede la testa), che convoca l’assemblea del partito a dicembre: “Non mi rimprovero di averlo candidato, non è stato un esercizio da talent show per coprire un buco su un tema di cui non ci siamo mai occupati, quello della difesa degli sfruttati. Di questi temi ci siamo occupati sempre”.

Va di scena l’eterno conflitto tra il giusto e l’ingiusto, l’onesto e il disonesto, tra chi sospettava e chi invece seguiva il paladino dei braccianti e dei sans papiers senza dubbi. È un confronto tra le due facce dell’accoglienza che dà le vertigini perché non si sa mai dove si va a finire. Il sacerdote della Caritas ha, invece, più certezze da proporre perché nella piana pugliese – dove Aboubakar Soumahoro è stato il ‘sindacalista dei braccianti’– si fronteggiano sigle sindacali, volontari e religiosi ognuno portatore di propri interessi e di un’esclusiva visione nella gestione degli asilanti e degli immigrati clandestini. Uno scontro che va avanti da oltre due anni quando alla corte di Soumahoro e alla sua Lega Braccianti erano accorsi in tanti, pronti a farsi indottrinare da questo sociologo giunto dalla Costa d’Avorio, ma anche qualcuno che voleva solo lucrare e fare business sui migranti. “L’attività di Soumahoro nei campi del Foggiano è stata solo virtuale e tesa unicamente ad accendere fuochi polemici. La Caritas è stata attaccata, ma venire a sapere dell’inchiesta sulle cooperative gestite dalla moglie e dalla suocera mi ha amareggiato”.

In questo pezzo del Tavoliere in cui i migranti vivono in baracche di lamiere gelide, lo choc dell’inchiesta sul leader dei braccianti sembra ora lasciare spazio alla delusione. “Erano mesi che se ne parlava, non ci volevo credere. L’ho conosciuto durante le battaglie qui a San Severo e l’ho seguito alla masseria Boncuri a Nardò per organizzare la lega braccianti e a Gioia Tauro dove siamo stati presi a fucilate dai caporali. Non pensavo affatto che lo pugnalasse proprio la sua famiglia”, dice Obiang Nguema, un giovane studente di ingegneria che viene dal Camerun. Già a gennaio erano schizzate stille di veleno. Un comunicato della Usb (il sindacato di cui faceva parte) poneva interrogativi sulla destinazione dei soldi raccolti da Aboubakar per contrastate l’emergenza Covid tra gli irregolari. “Nutrivamo una fiducia cieca in Abou (Soumahoro, ndr)”. Ancora una volta i due volti dell’accoglienza migranti scavano un solco di diffidenza e un divario tra la lotta e i risultati ottenuti, sottolineati dalle condizioni miserevoli in cui vivono gli sfruttati alle periferie delle città. “Questa è una battaglia che dobbiamo combattere uniti comprese le istituzioni – conclude don Andrea –. Invece abbiamo assistito all’arrivo di personaggi come Soumahoro che si erge a paladino dei diritti dei poveri e degli sfruttati e accusa di fare business chi, come noi, sta nel fango e nella melma”.

 

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