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Il vero disincentivo a cercare un lavoro non è il reddito di cittadinanza

di Alberto Ferrigolo

“Nessuno ha calcolato finora il fatto che accanto al fenomeno del rifiuto del lavoro ci sarà tra qualche settimana o mese una forma di rivolta sociale piuttosto pesante. Perché c’è oramai e dappertutto un aumento generalizzato dei prezzi. È aumentato tutto e quindi la gente non ce la farà più a tirare avanti“. È la profezia di Enzo Ciconte, studioso dei fenomeni criminosi,  il primo autore a scrivere un libro sulla ‘ndrangheta, docente, deputato del Pci nella X legislatura a cavallo tra la anni ’80 e ’90, che ha appena dato alle stampe per i tipi Laterza “Classi pericolose”, una storia sociale della povertà dall’età moderna ad oggi.

Ciconte in questa intervista insiste su un concetto: “C’è chi pensa che con 400-500 euro al mese si possa davvero campare e andare avanti, ma se si abolisce il reddito di cittadinanza chi andrà davvero a fare un altro tipo di lavoro per 500 euro? Questa è la più grande forma di protesta sociale, en on è questione del vagabondo che non vuole fare niente. Ci sono pure quelli, intendiamoci…”.

Ciconte, i ragazzi non lavorare più perché il lavoro è scarsamente retribuito?

“Non è soltanto una questione di denaro. C’è anche un problema di dignità, di qualità della propria vita. Questi ragazzi si ammazzano di lavoro per quattro soldi, quindi preferiscono non far nulla. Non studiano per lo stesso motivo, perché il diploma non ha più alcun valore. Se poi si aggiunge il fatto che nel mezzogiorno, ma ormai in tutta Italia, si va avanti per raccomandazioni e che il lavoro non è stabile, non definitivo ma solo temporaneo, si capisce bene come questi ragazzi non s’impegnano granché”.

La polemica sul reddito di cittadinanza che scoraggia la ricerca del lavoro è una polemica falsata, pretestuosa?

“Secondo me è una sciocchezza, perché è un modo per sfuggire al problema. Io faccio un ragionamento molto semplice: se abolissimo il Reddito di cittadinanza, secondo lei quei ragazzi si darebbero da fare per trovare un lavoro? Solo nel caso venissero pagati di più. Qui il cane si morde la coda: l’equazione è semplice, se non vanno a lavorare perché c’è il Reddito di cittadinanza significa che vengono pagati come e quanto il Reddito. A quel punto perché fare anche fatica? Mi prendo il Reddito e non lavoro”.

I bassi salari sono un disincentivo. Non più un lavoro purché sia… È un cambio di paradigma?

“Qui c’è un problema di fondo ed è come i ricchi combattono i poveri”.

Si può spiegare meglio?

“Perché non si fa una battaglia sui super e gli extraprofitti e le grandi speculazioni per trovare i margini per ricavare reddito sufficiente e alzare i compensi? Sarebbe una battaglia seria che ha una rilevanza economica e sociale molto più grande del semplice Reddito di cittadinanza. È questo il problema vero”.

Questo spirito di rifiuto, di opposizione al lavoro può esser paragonato ad una forma moderna “coscienza” o invece si tratta d’altro?

“Non so proprio dire se si tratti di una moderna coscienza e tanto più di classe, secondo me un semplice rifiuto non organizzato, silenzioso ed evidente al lavoro in quanto tale. Non capita in una sola regione, è un fenomeno generalizzato che coinvolge l’Italia, da Nord a Sud. Sono di ritorno dal Veneto dove sono stato alcune settimane e anche lì c’è un problema di questa natura: rifiuto del lavoro, eppure lì di lavoro ce n’è. Capita anche nel ricco Veneto locomotiva del Nordest. E questo significa che il problema riguarda due aspetti: la retribuzione e la dignità del lavoro. La gente non è più disponibile a lavorare a determinate condizioni ed esser super sfruttata”.

Con quale prospettiva si esce da questa condizione di stagnazione?

“Alzando i salari. Ma la volontà da parte degli imprenditori e di chi offre lavoro non c’è. È vergognoso che negli ultimi trent’anni la paga oraria sia rimasta sempre la stessa senza mai un incremento. Non si vuole spendere, questo è il problema vero”.

Dal punto di vista del suo libro, “Classi pericolose”, questi individui vengono equiparati a soggetti pericolosi?

“Certamente, perché danno il cattivo esempio. Vengono visti come persone che non fanno niente, vivono alle spalle della società, perciò vengono considerati come dei cattivi ragazzi”.

Storicamente, ci sono situazioni di rifiuto simili a quelle della nostra epoca?

“Di rifiuto del lavoro no. C’è stato in passato semmai un problema che ha riguardato la ricerca del lavoro. E le condizioni di lavoro migliori erano dovute e legate alle battaglie salariali, quelle per migliorare le condizioni collettive. Allora c’erano gli scioperi ma non c’era il rifiuto del lavoro. La differenza con l’oggi è che c’è il rifiuto”.

Il rifiuto non è anche legato al fatto che la società pensa solo alla finanza e a fare soldi in questo modo? Si pensa al facile guadagno. 

“Non c’è dubbio che vi sia anche questo aspetto e quest’atteggiamento. C’è una polarizzazione verso l’alto e verso il basso di tutta l’economia italiana e quindi nessuno ha interesse, tranne gli ultimi, a modificare gli assetti attuali. Non li vogliono modificare i grandi imprenditori perché intanto continuano a guadagnare una barca di soldi, ma quel che però nessuno ha calcolato finora è il fatto che oltre al rifiuto del lavoro ci sarà tra qualche settimana o mese una forma di rivolta sociale piuttosto pesante. Perché c’è oramai e dappertutto un aumento generalizzato dei prezzi. È aumentato tutto e quindi la gente non ce la farà più a tirare avanti. Rischiamo di rivedere le scene che abbiamo visto durante il Covid: persone che andavano alla Caritas ma non erano stranieri, erano italiani. Qui c’è bisogno di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, a cominciare dagli imprenditori che in questi ultimi decenni hanno goduto di condizioni a dir poco irripetibili di vantaggio. Bassi salari, manodopera da usare a piacere, evasione fiscale. Adesso quelle condizioni non ci sono più perché è cambiata la società e sono cambiarti anche gli uomini, i desideri e i sogni dei ragazzi. Nessuno più ormai o sono comunque sempre di meno coloro che accettano d’esser super sfruttati. Paradossalmente, oggi quelli che fino a ieri hanno impedito agli extracomunitari e a quelli che venivano da fuori di arrivare in Italia sono gli stessi che li cercano perché sanno che loro allo stato attuale si accontentano di qualsiasi paga oraria mentre gli italiani non lo accettano più”.

Però la notizia è che è aumentata l’occupazione…

“Sì, certo, ma se si va a guardare bene è aumentata solo quella temporanea, non l’occupazione in sé. Fenomeno stagionale, limitato nel tempo. Tra tre mesi rientrerà. Con nuovi iscritti alle liste dei disoccupati. Siamo sempre nel precariato”.

Agi