Un recente caso clinico mette in luce le sfide e le complessità della lotta contro il COVID-19, in particolare nei pazienti immunocompromessi. Un uomo olandese di 72 anni, gravemente immunocompromesso a causa di farmaci assunti dopo un trapianto di cellule staminali, ha vissuto un’insolita battaglia contro il virus per 613 giorni, il periodo di infezione da SARS-CoV-2 più lungo mai documentato. Contratto l’infezione nel febbraio 2022, l’uomo ha affrontato un decorso prolungato a causa della sua incapacità di produrre una risposta anticorpale affidabile contro il virus. Il suo sistema immunitario era stato indebolito sia dalla terapia immunosoppressiva che dal rituximab, un farmaco che elimina le cellule B maligne e normali – fondamentali nella produzione di anticorpi. Nonostante avesse ricevuto dosi di vaccino contro il COVID, la risposta del suo sistema immunitario è stata insufficiente. I medici dell’Università di Amsterdam hanno tentato diversi trattamenti, inclusi gli anticorpi monoclonali, ma senza ottenere i risultati sperati. Questa situazione estrema ha permesso al virus di mutare, sviluppando una nuova variante altamente evasiva. Il paziente è purtroppo deceduto nell’ottobre 2023 a seguito di una recidiva della sua condizione ematologica, ma il suo caso ha offerto una rara visione dell’evoluzione virale in condizioni eccezionali. I primi segni di mutazione virale erano emersi già 21 giorni dopo il trattamento con gli anticorpi monoclonali. Questo caso sottolinea l’importanza di monitorare i pazienti immunocompromessi e di continuare la ricerca per sviluppare trattamenti efficaci contro varianti del virus che possono eludere i meccanismi di difesa del corpo. La resilienza di SARS-CoV-2 dimostra che la battaglia contro il COVID-19 è tutt’altro che finita, e che ogni caso può insegnarci qualcosa di nuovo sul nostro avversario invisibile.

V.R

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