Eppure le tragedie in questi anni dovrebbero aver lasciato il segno: da Tiziana Cantone, che si  suicidò dopo aver subìto un fiume di veleno social per un video privato con il suo fidanzato finito su chat e siti porno  alla ristoratrice che si è uccisa annegando. Non aveva retto alla gogna mediatica scatenata da una recensione che si sospettava fosse falsa. Una stupidaggine rispetto a gravi fatti di cronaca, a stragi impunite e a storie di malaffare. Eppure sulla ristoratrice si sono abbattuti insulti spietati, fatti di un accanimento che se gli italiani avessero questa stessa foga nel denunciare le porcherie italiane forse saremmo in un paese pulito e legale.  Giovanna Pedretti non ha retto come sono libere di non reggere tante persone attaccate con crudeltà sui social dove la bestialità sembra di casa. Con tutto il rispetto per le bestie. Sembra che i social riescano a liberare il male anche da quegli esseri umani che vedi per strada con aria tranquilla, che entrando in un negozio ti aprono per primi la porta , salutano e sorridono cordialmente. Poi, nella “vita virtuale” diventano di una cattiveria incredibile. Perchè? La mamma di Tiziana Cantone dopo la morte della figlia ha intrapreso una battaglia ed è tornata a parlare dopo la  morte di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Lodi inizialmente elogiata e poi presa di mira per il presunto messaggio fake in risposta a una recensione omofoba lasciata sul suo locale.

” È una vergogna che si parli di cose che non si sanno, di cose non accertate – ha detto la mamma di Tiziana,  Maria Teresa Giglio, a Nicola Sellitti, giornalista de La Ragione – . Una campagna di odio sul web può scattare per un niente e divampare velocemente. Era davvero così importante questo post presunto fake su Facebook per cui si è generato un tale sciame di cattiverie social?”.

“Si dovrebbe finalmente responsabilizzare chi naviga sui social, fornire regole sull’utilizzo, arrivare all’identità digitale mettendo fine alla proliferazione dei profili anonimi. Con i social la situazione sta sfuggendo di mano perché si sposa un’immagine della rete come luogo di impunità dove tutto è permesso. Erano nati per socializzare, non per offendere attraverso messaggi violenti, discriminatori, di odio verso categorie di persone, che poi danno luogo a certe tragedie”.

N.B.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia