Culle vuote e case di riposo piene, ma al contrario di quanto si pensi sono le donne che lavorano quelle che partoriscono di più.
Nel 1970 nascevano 970 mila bambini, nel 2016 sono stati 450 mila, quasi la metà. Questa la fotografia di un Paese che ha smesso di investire sul futuro e non ha fatto più figli se è vero che oggi abbiamo 1,33 figli per donna in età fertile, quando il numero necessario per garantire un ricambio generazionale accettabile è fissato in due. Alla base c’è un problema culturale cui si aggiunge quello cronico della carenza di servizi a supporto della famiglia. Ma per riprendere il filo interrotto ormai 40 anni fa, si deve ripartire dal lavoro, favorire l’impiego femminile: nelle aree in cui le donne lavorano di più i tassi di natalità sono più elevati. Ma serve un cambiamento nelle modalità di lavoro: flessibilità negli orari, possibilità di lavoro part-time, delocalizzazione del lavoro (possibilità di lavoro da remoto-telelavoro), valutazione del lavoro in base al risultato e non alle ore d’ufficio, nidi aziendali.
E servono azioni concrete di welfare familiare. In realtà negli ultimi anni numerose misure di sostegno sono state prese dai vari governi, dall’assegno di natalità al bonus per la frequenza al nido. Il vero problema è che le misure non sono stabili nel tempo e non hanno fondi sufficienti. Nel bilancio 2019 non si arriva a 450 milioni. L’assegno di natalità, a seconda del numero di figli, deve essere stabilizzato, prevedendo mille euro annuali per il primo, 1.500 per il secondo, e duemila dal terzo in poi per ciascun nuovo nato, fino ai cinque anni di età del bambino, tenendo conto delle caratteristiche dei nuclei familiari. A tale assegno, inoltre, potrebbe essere aggiunto un “credito familiare” (garantito dallo Stato ma senza oneri diretti da parte dello stesso) da porre in capo alle famiglie di ciascun nuovo nato, per essere utilizzato direttamente nell’abitazione ovvero per altre esigenze familiari, come l’educazione o altre necessità primarie.
I nidi esistenti, nati con la vecchia legge del 1971, vanno stabilizzati; ma accanto ad essi vanno promossi i nuovi nido: quelli famiglia, introdotti con una legge del 2017, fino a sei bambini, flessibili negli orari. E vanno promossi nuovi nido secondo il modello del partenariato pubblico-privato. Non solo. Si può anche pensare il passaggio dal finanziamento dell’offerta (dal Comune all’asilo) al finanziamento della domanda (dal Comune alle famiglie, tramite voucher spendibili in qualunque asilo, pubblico o privato-sociale o privato puro che sia. E’ sul fisco che servono le risorse più ingenti. E probabilmente la riforma che serve all’Italia per rimettere in modi la natalità perché rende conveniente avere più figli è l’introduzione del quoziente familiare. Le aliquote fiscali (modello francese) si applicano sul reddito familiare dopo che è stato diviso per il numero di “parti” del nucleo: 2 parti i genitori, 0,5 il primo e secondo figlio, 1 il terzo, 0,5 i successivi. Più figli, meno tasse. Costa molto (la stima è di almeno 10 miliardi in base alla definizioni dei vari quozienti) ma è uno dei veri investimenti sul futuro se vogliamo con gradualità (servono decenni) ridare un futuro al Paese.
Alberto Leoni