A lanciare l’inquietante notizia sulla qualità dell’aria che respiriamo tutti quotidianamente sono l’Istituto per la salute globale di Barcellona ISGlobal, l’Università di Utrecht ed il Tropical and Public Health Institute della vicina Svizzera: Vicenza quarta città europea per morti da PM2.5, 124 decessi che potrebbero essere evitati e che tracciano per il capoluogo berico e non solo un quadro a tinte fosche, un ulteriore macigno sulla situazione sanitaria attuale.

Lo studio, pubblicato su ‘The Lancet Planetary Health’, include una classifica delle città europee con i più alti tassi di mortalità attribuibili causati da ciascuno dei due inquinanti atmosferici studiati, il particolato fine (PM2,5) e il biossido di azoto (NO2): i risultati mostrano che 51.000 e 900 decessi prematuri potrebbero essere prevenuti ogni anno, rispettivamente, se tutte le città analizzate raggiungessero livelli di PM2.5 e NO2 in linea con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Addirittura sempre secondo tale studio, se i livelli di qualità dell’aria delle città  ‘maglie nere’ corrispondessero a quelli delle città meno inquinate della lista, si potrebbero prevenire ancora più morti arrivando rispettivamente a 125.000 e 79.000: praticamente come se un quarto degli abitanti dell’intera provincia di Vicenza avessero ogni anno risparmiata la vita.

“Abbiamo osservato una grande variabilità nei risultati per le diverse città analizzate”, ha dichiarato la ricercatrice ISGlobal Sasha Khomenko, autrice principale dello studio. “I tassi più elevati di mortalità attribuibili all’NO2, un gas tossico associato principalmente al traffico automobilistico, sono stati riscontrati nelle grandi città di paesi come Spagna, Belgio, Italia e Francia. “All’estremità opposta ci sono città dei paesi dell’Europa settentrionale con bassi tassi di mortalità attribuibili all’inquinamento atmosferico”.

Arriva a stretto giro la preoccupata reazione del consigliere e capogruppo PD in Regione Veneto, Giacomo Possamai: “Ciò che dobbiamo capire – tutti, da Vicenza al resto del mondo – è che l’emergenza sanitaria che ci accompagna da un anno e quella economica che ne scaturisce, non possono mettere in ombra un’altra emergenza che ci accompagna da molto di più: quella ambientale. Una ripartenza sul piano economico e sociale, una volta che il COVID-19 dovesse essere sconfitto, non potrebbe prescindere da una profonda e decisa operazione di transizione ecologica. Se il rispetto per l’ambiente in sé non è sufficiente a persuadere gli scettici, la speranza è che lo sia almeno l’elevato numero di vite che si potrebbero salvare. Una decisa svolta green, aspetto non meno importante, rappresenterebbe anche un importante volano di crescita economica e porterebbe, in prospettiva, alla nascita di centinaia di migliaia di posti di lavoro solo nel nostro Paese.

Alla luce di tutte queste considerazioni, fa ben sperare la quantità di fondi del Next Generation EU destinati dall’Italia per la rivoluzione verde e transizione ecologica: 70 miliardi di euro. Se spesi bene, questi soldi possono contribuire in maniera essenziale alla battaglia contro i cambiamenti climatici e al tempo stesso giocare un ruolo da protagonista nella ripresa della nostra economia. Secondo il Climate Clock, l’orologio che tiene traccia del tempo a disposizione degli umani per intervenire ed evitare le conseguenze più disastrose del global warming, ci restano circa 7 anni. Direi che non c’è veramente più tempo da perdere. O agiamo ora, o sarà troppo tardi”.

Più che un allarme, una deflagrazione che colpisce le istituzioni a tutti i livelli e che certo dovrà far riflettere. E stante il dato forse sarà utile passare presto dalle riflessioni ai fatti.
Marco Zorzi
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