Piccoli gruppi, composti da ragazzi tra i 15 e i 17 anni, che nascono spontaneamente con l’obiettivo di fare atti di violenza nei confronti di coetanei. Sono gli elementi che accomunano le cosiddette baby gang, un fenomeno di cui si parla sempre di più, ma si sa ancora poco. Per questo il comune di Roma ha deciso di far incontrare giovani ed esperti per parlarne insieme nell’ambito del convegno ‘Il disagio giovanile nella città di Roma: comprendere le nuove devianze per orientare politiche sociali integrate’, che si è svolto oggi nella Sala della Protomoteca del Campidoglio. Una giornata di studio per individuare possibili risposte.

Il dibattito è partito da una ricerca su ‘Le Gang Giovanili in Italia‘ che è stata recentemente pubblicata da Transcrime dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con il ministero dell’Interno e il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità. Il ricercatore Marco Dugato ha spiegato che si tratta di un “fenomeno che attraversa tutta Italia, dal Nord al Sud, percepito come in aumento dopo la pandemia ma già esistente da prima. A volte nasce in ambienti di disagio o situazioni di marginalità. Ma molto spesso i ragazzi coinvolti non hanno alle spalle famiglie problematiche. Anche perché l’obiettivo non è economico ma la sola violenza estemporanea: bullismo, percosse”.

Aprendo il convegno, Barbara Funari, assessora alle Politiche sociali e alla Salute del comune di Roma, ha detto che “mancano dati e ricerche sul tema. Apparentemente i numeri non sono cresciuti: le statistiche giudiziarie non pongono in aumento criminalità giovanili. Ma è cresciuta l’attenzione mediatica. Dal gennaio del 2022 sono stati pubblicati più di 1900 articoli sul tema. Questo vuol dire che dobbiamo fare uno sforzo ulteriore per tentare una gestione diversa del fenomeno. Si tratta di una responsabilità da condividere a tutti i livelli.Per questo è importante parlarne con i giovani, per ascoltarli e individuare nuove azioni mirate a sviluppare politiche sociali integrate. Per fare di Roma una città più sicura e prevenire il disagio sociale”.

Monica Lucarelli, delegata del Sindaco alla Sicurezza, ha sottolineato che “la presenza delle forze dell’ordine è importante, ma lo è molto di più fare prevenzione. Questi atti aggressivi e violenti sono atti da punire, ma sopratutto da capire. Per sviluppare azioni di supporto”. Per Lucarelli le alternative ci sono: “Si può lavorare insieme e costituire percorsi condivisi. Su questo la nostra responsabilità come amministrazione è fondamentale. Spero che questo incontro sia il primo passo per un percorso che ci compagni per costruire qualcosa di nuovo per i nostri giovani”.

A salutare studenti ed esperti, anche il delegato del Sindaco alle Politiche Giovanili, Lorenzo Marinone, che ha parlato della pandemia come acceleratore di malessere, con l’aumento del tasso di suicidi, ansia, paura. “Il nostro compito è fare un’azione corale. Un solo ente non può eliminare il fenomeno. Politica non deve essere solo repressione ma anche individuare attività alternative. Come più spazi a disposizione dei giovani, sport, volontariato e inclusione sociale”.

La ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha classificato le baby gang in quatto macro settori: del primo, più frequente e diffuso, fanno parte i gruppi senza una struttura, attori di azioni violente ed estemporanea. Il secondo, limitato ad aree specifiche del Paese, ha legami o ispirazioni alla criminalità organizzata. Sono gruppi che nascono in contiguità con contesti sociali criminali già presenti nel territorio. Non ne fanno parte, ma ne sono vicini, e vedono le attività criminali come primo passo per la carriera criminale. Del terzo gruppo fanno parte gang ispirate alla criminalità organizzata di stampo straniero, in particolare del Sud America. L’ultimo gruppo, che ha una distribuzione specifica ma ampia, riguarda vere e proprie piccole associazioni criminali che nascono con una finalità violenta.
“Si tratta di nuove modalità di delinquere. Non registriamo quindi un aumento quantitativo ma qualitativo: cambia il modo di delinquere e come viene raccontato- ha spiegato Marco Dugato- dalla nostra ricerca emerge che spesso i giovani non riconoscono modelli da seguire. E in questo contesto il. Covid ha fatto da amplificatore. Insieme ai social network e alla spersonalizzazione delle relazioni, con un’amplificazione della cultura competitiva che mette i giovani in contatto con stili di vita non reali. Infine, c’è il tema della mercificazione del crimine: pubblicando le loro azioni, i giovani vedono un aumento di follower che si traduce in denaro e di meccanismi di simulazione”.

Il Capo Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, Gemma Tuccillo, in collegamento, ha detto che oggi “i ragazzi sono più fragili e rispondono con un’aggressività che si deve realizzare in gruppo. Ma quando i ragazzi entrano nel circuito penale e vengono guidati e accolti dal personale con un ventaglio di opportunità culturali e formative, che spesso incontrano per la prima volta, allora i ragazzi rispondono in maniera positiva e iniziano a sviluppare un senso di cittadinanza attiva e responsabilità. In questo, il confronto con la vittima aiuta a far nascere un processo di consapevolezza”.

Daniele Biondo, psicoanalista SPI-IPA di bambini e adolescenti, ha spiegato che “questi comportamenti nascono dall’odio verso gli adulti che li lasciano soli. Questo non deve giustificare il progetto di vendetta dei giovani. Ma lo possiamo comprendere. Una mente adolescente, lasciata sola, non è in grado di elaborare l’odio, ed usano il loro corpo in maniera violenta per far sentire la propria presenza. Ecco perché non dobbiamo lasciarli soli, testimoniando altre possibilità”.

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