Viviamo tempi brutti e cattivi, in cui tutto ‘aiuta’ a divenire più brutti e più cattivi. La televisione, i social, non tirano fuori il meglio di noi, anzi.
Trasmettendo, diffondendo in rete le colpe di alcuni, fanno sì che queste diventino anche le nostre. Siamo tutti attori protagonisti di questa tragicommedia che è divenuta la vita, ci nutriamo di quel senso di inspiegabile repulsione alla violenza, diventando, noi stessi, violenti nel condannarla.
Su Facebook, Twitter, è il trionfo della decadenza, che a breve diverrà decomposizione. Perchè morto è il bello che c’era in noi, l’attaccamento, l’ambire al ‘bello’. E qui ‘La grande bellezza’ di Sorrentino può fare scuola di decadimento e decomposizione.
Vediamo la Tv, dove Flavio Insinna – apparentemente una ‘pasta d’uomo’, caciarone, il tipico ex compagno di classe che faceva ridere pure i professori – rivela, in un fuorionda, tutta la sua aggressività, la sua insofferenza. Spietato. Dall’altra parte abbiamo ‘Striscia’, il programma di Ricci che di queste rivelazioni ci campa da anni; l’audience che ne ricava è, appunto, dato da quel ‘senso di inspiegabile repulsione alla violenza’ che amiamo nutrire. Così, se spietato è Insinna, spietata è la trasmissione che ne svela il suo nascosto Io, e spietati siamo noi.
Le Iene, quell’appuntamento settimanale che rivela inciuci, inganni, omissioni, truffe e orrori, lo attendiamo, ansiosi di sapere, di indagare tra le più nascoste pieghe di questa società malvagia.
Chi l’ha visto ( e simili). Quanta macabra ricerca del particolare noir c’è in queste trasmissioni? Persino l’antesignano programma della Sciarelli, un tempo utile servizio per il ritrovamento di persone scomparse, da qualche anno, allineato e coperto, si piega all’imperativo dettato dall’audience. Causa rischio
surclassamento di altri succedutigli, ha dovuto adeguarsi alla suprema volontà dell’horror game, e così scandaglia nella vita dello scomparso, della vittima, offrendo spunti di attrazione per ‘nutrire’ l’affamato telespettatore.
Sazia ogni appetito, Barbara D’Urso, nel suo “Pomeriggio 5“. Dalla ospitata di figli dei vip – ventenni che in comune con la mamma famosa hanno, oltre il dna e qualche tratto somatico, anche il chirurgo plastico – al caso di omicidio da ‘smembrare’. Le prime, le ‘figlie di‘, vengono ‘massacrate’ dalle invettive di imbufaliti giornalisti e dalla perfida ironia della parrucconata, decadente Platinette; il secondo, il caso d’omicidio, viene trattato come se lo studio di Canale 5 fosse la sede di Scotland Yard con annessa la ‘Morgue’. E qui il telespettatore fa bisboccia.
Anche la Stampa ha le sue colpe, dovrebbe filtrare, moderare,l’informazione che crea pericolosi proselitismi. Invece la esalta, a tratti la suffraga di faziosi orpelli che nulla apportano alla notizia base.
Ma la vera iattura del mondo sono i Social. Non c’è limite al danno prodotto, non c’è descrizione che valga la sostanza malefica che un progetto nato con buoni propositi è riuscito a produrre. Perchè è lì che vengono affinate la cattiveria, la perversione, accumulate davanti alla Tv.
E viene fuori il disprezzo, l’accanimento. Non siamo più esseri umani, ma malefici personaggi creati dal web, disumanizzati.
Siamo grotteschi, caricature di quel che eravamo ante-social, ci sforziamo di essere, in quello che scriviamo, più cattivi di quello che leggiamo. Una gara, un esubero ‘mefistofelico’, per apparire originali nella nostra malvagità, o nella nostra ‘malata’ voglia di apparire. E’ di qualche giorno fa la pubblicazione su Facebook, da parte di un iscritto, della foto del cadavere di un congiunto sul letto di morte. Voleva i like, messaggi di cordoglio? Forse sì. Forse solo l’originalità dell’idea funebre.
Non ci rendiamo conto che l’esasperazione ha ormai esasperato il nostro essere uomini. Al punto da non esserlo più.
Patrizia Vita