L’81,7% ha un profilo sui social network dove lascia pensieri (59%), foto o video (56,5%), ma un terzo (il 33,5%) non ricorre a restrizioni della privacy sui social. Il 47% in chat ha conosciuto persone nuove, ma in 115 sui social hanno vissuto una brutta avventura o un’invasione della privacy e violenza psicologica.

E’ l’immagine dei quasi 700 ragazzi europei coinvolti nell’indagine ‘Stop the violence’, punto di partenza di Povel, progetto transnazionale finanziato dalla Commissione europea.    Acronimo di ‘Prevention of violence trought education to legality (Prevenzione alla violenza attraverso l’educazione alla legalita’), Povel coinvolge organizzazioni pubbliche e private di Italia (Scuola Centrale Formazione e Provincia di Ravenna), Belgio, Spagna e Francia, coordinate da Cefal, ente di formazione del Movimento cristiano lavoratori.

L’obiettivo e’ promuovere azioni preventive su alcol, droga, bullismo e cyber violenza. I 696 ragazzini hanno tra 16-17 anni, frequentano centri di formazione professionale e istituti tecnici; ben 425 sono italiani. I dati dello studio saranno presentati venerdi’ a Ravenna in un convegno.    Innanzitutto i ragazzi promuovono i genitori: il 47,7% ritiene molto soddisfacente il rapporto con loro, un altro 35,6% soddisfacente. Otto su 10 vanno d’accordo con docenti ed educatori. Si fidano, ma non del tutto. Perche’ dei ‘grandi’, spiega Lorena Sassi, del Cefal e coordinatrice del progetto, ”hanno una percezione debole in termini relazionali, vedendoli poco autorevoli e, quindi, non come un punto di appoggio sicuro nelle situazioni di difficolta”’.

Il 39% beve quando esce con gli amici sabato o domenica, il 26% almeno una volta, nella vita, ha fatto uso di droghe, il 17% parla pero’ di uso piuttosto occasionale. Amano il cellulare, ma piu’ che telefonare, gli intervistati preferiscono gli sms. Subito si piazzano i video girati col cellulare: il 56,3% li guarda da solo sullo smartphone, il 33,9% li manda agli amici. Chiude un 20% che non scatta foto ne’ riprende immagini. Il 42,8% non legge libri.

”Se ne deduce – e’ la conclusione di Sassi – che i ragazzi si accostano a web e social network in particolare come luogo virtuale di socializzazione, sottovalutandone pero’ i rischi ed esponendosi ad esperienze non solo spiacevoli, ma anche molto pericolose”. Per questo, nella loro formazione, ”e’ necessario lavorare alla promozione dell’intelligenza emotiva quale capacita’ fondamentale per gestire le relazioni”.(ansa)

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