di Fabrizio carta

Era il 6 di aprile ed in piena pandemia, con tutte le serrande dei negozi abbassate, il nostro Giuseppi annunciava ai suoi follower facebook e all’Italia intera un clamoroso “bazooka da 400 miliardi”, invitando tutti a correre in banca e chiedere immediatamente i propri 25.000 euro, assicurando che in un paio di giorni gli sarebbero stati erogati.

Noi eravamo stati molto scettici, prevedendo che quegli aiuti che nel giro di un paio d’ore erano lievitati a ben settecento miliardi sarebbero rimasti solo sulle pagine di Repubblica, così come gli automatismi, la gratuità e l’assenza di valutazione ben propagandata dai vari esponenti di governo.

La norma contenuta nel Decreto Liquidità pubblicato qualche giorno dopo in Gazzetta Ufficiale prevedeva in realtà che ogni azienda potesse richiedere un finanziamento pari al 25% del proprio fatturato fino ad un massimo di 25.000 euro, che sarebbe stato garantito al 100% dallo Stato, mentre per i prestiti fino a 800 mila euro, la garanzia dello Stato sarebbe arrivata fino al 90% e il restante 10% poteva essere coperto dai Confidi.

Il nostro prode Giuseppi chiedeva allora un atto d’amore alle banche, percependo fin da subito la loro naturale ritrosia ad erogare prestiti senza nessuna valutazione, anche in ragione del fatto non trascurabile che sono enti privati, che debbono rispondere ai propri investitori e che debbono rispettare gli stringenti vincoli e gli ineludibili paletti imposti dagli accordi di Basilea.

Ma i commercialisti, si sa, sono notoriamente dediti ai numeri, pragmatici e privi di poesia, anche quelli più giovani, per cui a distanza di quasi due mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto liquidità, raccolte le lamentele delle molte imprese che si sono visti negare amore, affetto e soprattutto soldi dai propri istituti di credito di riferimento, l’Unione Nazionale Giovani dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (UNGDCEC) in collaborazione con Confprofessioni, ha voluto effettuare un sondaggio per analizzare l’attività, i tempi di erogazione dei prestiti alle imprese e i comportamenti del sistema bancario per favorire l’accesso al credito al sistema produttivo italiano colpito dalla pandemia.

L’indagine ha coinvolto oltre 900 commercialisti che, negli ultimi due mesi, hanno affiancato circa 15 mila imprese nella gestione dei finanziamenti richiesti alle banche, ed il quadro che emerge è quello che – ahimè – avevamo previsto a suo tempo.

Il sistema bancario infatti, salvo rare eccezioni, ha mostrato una certa riluttanza ad applicare le misure contenute nel decreto liquidità, disattendendo ogni invito alla semplificazione e alla rapidità di erogazione dei prestiti, trincerandosi dietro ad un muro di burocrazia.

Inoltre, dal sondaggio emerge una dilatazione dei tempi di erogazione il più delle volte causate da valutazioni di merito creditizio non contemplate o, peggio ancora, il dirottamento della liquidità verso la compensazione di debiti pregressi.

Come riporta la nota di Confprofessioni e dell’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, la quasi totalità degli imprenditori nonostante il lockdown ha dovuto esibire documenti, superare istruttorie e redigere situazioni prospettiche relative al 2020, o peggio ancora prestare garanzie personali per la parte non coperta dalla garanzia statale o agganciare la concessione del credito all’acquisto di prodotti come il Pos o polizze vita.

Il risultato descritto dall’indagine è che dopo una trafila di 30-40 giorni, le imprese che sono riuscite ad attraversare il labirinto burocratico degli istituti di credito si contano sulle dita di una mano, mentre diversi istituti bancari hanno addirittura rifiutato l’accesso al credito per la “non convenienza dell’operazione”.

Il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, nella nota di accompagnamento ai risultati delle indagini, denuncia che “le attese di liquidità e di tempestiva collaborazione sono state in gran parte disattese dal sistema bancario”. Sulla stessa direttrice le dichiarazioni di Raffaele Loprete, segretario dell’UNGDEC e coordinatore della Consulta giovani di Confprofessioni, che segnala come la strategia miope delle banche che si dimostrano restie a concedere finanziamenti alle imprese nonostante la garanzia dello Stato, rischia «di mettere in ginocchio l’intero tessuto economico del nostro Paese».

Dopo l’atto d’amore richiesto da Giuseppi, quindi, ritroviamo le nostre imprese che corrono ancora dietro alle banche gridando “cosa ne sarà di noi?”, ma la loro risposta è sempre quella, truce e beffarda, che indossa la faccia di Clark Gable: “Francamente me ne infischio.”.

Ma noi siamo italiani, sentimentali ed inguaribili romantici, che Rossella O’Hara fatti da parte, per cui “dopotutto, domani è un altro giorno”, e troveremo un modo per riconquistarla, la liquidità perduta!

Ad maiora!

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