“Mi no firmo” dichiarava Franco Basaglia, rifiutando di firmare il registro per i pazienti legati ai letti nei manicomi. Queste parole simboleggiano una rivoluzione nel trattamento della salute mentale, una battaglia contro l’istituzionalizzazione coatta e la deumanizzazione dei pazienti psichiatrici. A 45 anni dall’introduzione della legge n.180/1978, nota come legge Basaglia, il trattamento della malattia mentale rimane un argomento delicato e complesso. La legge Basaglia ha rappresentato un punto di rottura fondamentale: ha sancito la chiusura dei manicomi in Italia, trasformando radicalmente il sistema di cura del disagio mentale. Fino a quel momento, i manicomi fungevano da luoghi di segregazione per chi era considerato un pericolo per sé o per gli altri, spesso senza una reale giustificazione medica. In queste istituzioni, le persone erano isolate, spesso sottoposte a trattamenti inumani come l’elettroshock, le docce gelate e le camicie di forza. L’approccio di Basaglia era rivoluzionario: promuoveva il rispetto per la dignità umana dei pazienti, insistendo sul fatto che la malattia mentale doveva essere trattata all’interno della comunità e non in isolamento. La sua visione era che la cura dovesse essere personalizzata e che ogni individuo dovesse essere visto prima di tutto come persona, non come malattia. Tuttavia, nonostante i significativi progressi, molti ostacoli e sfide rimangono. La stigmatizzazione della malattia mentale persiste, spesso rinforzata dai media che continuano a collegare la “pazzia” con la criminalità o a usare termini pejorativi. Inoltre, sebbene i manicomi siano stati chiusi, le risorse per la salute mentale sono spesso insufficienti. Le strutture territoriali che dovrebbero sostituirli sono a volte carenti, e i servizi non sono uniformemente distribuiti sul territorio nazionale, lasciando alcune aree notevolmente sottoservite. Inoltre, la recente morte della psichiatra Barbara Capovani, uccisa da un paziente affetto da un disturbo mentale, ha sollevato ulteriori interrogativi sulla sicurezza e sull’adeguatezza della formazione del personale che lavora in questo settore. Vito D’Anza, direttore del dipartimento di salute mentale dell’ospedale di Pescia, evidenzia un problema fondamentale: la formazione degli operatori spesso non riflette i principi della legge Basaglia, focalizzandosi troppo sull’uso dei farmaci e meno sul supporto psicosociale e sulla reintegrazione dei pazienti nella società. Mentre celebriamo l’anniversario della legge Basaglia, è chiaro che il cammino verso un trattamento umano e efficace della malattia mentale è ancora lungo e tortuoso. È essenziale continuare a promuovere un dialogo aperto sulla salute mentale, a investire in formazione e risorse, e a combattere la stigmatizzazione per onorare veramente l’eredità di Franco Basaglia.

Valentina Ruzza

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