Primo tavolo operativo in Regione per mettere in dialogo istituzioni, imprese, famiglie e servizi sul problema assistenza familiare e monitorare l’applicazione della legge regionale 38 del 2017 che ha istituito il ‘registro badanti’ e gli sportelli di assistenza familiare. Lo ha costituito la consigliera regionale di parità, Sandra Miotto, d’intesa con gli assessorati regionali al Lavoro e alla Sanità e al Sociale, per affrontare, nell’ambito delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, uno dei temi emergenti: quello del supporto alle famiglie e dell’integrazione tra servizi pubblici e privati, in una società dove ogni 10 abitanti ci sono almeno 4 ultrasessantacinquenni.
“Denatalità, allungamento della vita media e fragilità delle famiglie stanno modificando profondamente stili di vita e reti familiari, con pesanti riflessi sulla compatibilità tra sfera lavorativa e sfera familiare – spiega Sandra Miotto – E’ compito delle istituzioni interrogarsi su nuovi modelli di welfare e offrire ai cittadini, donne e uomini, nuovi servizi e nuovi strumenti per affrontare i problemi dell’assistenza ad anziani, disabili, minori. In Veneto abbiamo una buona legge sulle ‘assistenti familiari’ (la n. 38/2017) che ha istituito il ‘registro badanti’ e dato avvio, in fase sperimentale, agli sportelli di assistenza familiare e a corsi di formazione per circa 360 ‘badanti’. Ma la realtà è complessa e in continua evoluzione, le istituzioni devono fare rete e servirebbe più integrazione tra pubblico e privato. L’ambizione è quella di formare un profilo professionale a tutto tondo, sempre più indispensabile per sostenere le famiglie e integrare i servizi di assistenza domiciliare, aiutando così anziani e disabili a rimanere a casa propria. Alla formazione di base devono seguire iniziative di aggiornamento e di qualificazione permanente, con il supporto di medici geriatri, psicologi e di enti di formazione sanitaria e sociale, per migliorare le competenze delle assistenti familiari e la qualità della vita degli assistiti. Ma bisogna pensare anche a forme di sostegno economico per le famiglie e ad opportune garanzie anche per chi esercita questa professione, difficile e usurante”.
Tra i primi progetti messi in cantiere dal tavolo veneto, lo studio di forme di previdenza integrativa allargata all’assistenza nei casi di non autosufficienza, il raccordo tra Veneto Lavoro e le agenzie di collocamento delle assistenti familiari, la promozione del fondo interprofessionale integrativo previsto dal contratto nazionale di lavoro delle assistenti familiari e l’avvio di progetti di supporto all’assistenza familiare domiciliare nell’ambito del prossimo ciclo regionale di programmazione comunitaria dei fondi Fesr-Fse 2021-2027.
Del tavolo regionale per l’assistenza familiare domiciliare fanno parte, oltre alla consigliera regionale di parità e ai dirigenti degli assessorati al Lavoro e alla Sanità e Sociale, Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, Egidio Robusto, direttore del dipartimento di Sociologia e Psicologia dell’Università di Padova, Massimo De Luca direttore dell’Osservatorio nazionale Domina sul lavoro domestico, Olga Pegoraro presidente dell’Associazione generale cooperative del Veneto, Roberto Sartore presidente Confprofessioni del Veneto, Alberto Cinetto e Paolo Pirozzi del gruppo Badaben, Silvia Franchin, presidente della cooperativa sociale Centro San Michele, Bruno Perin del sindacato nazionale ‘Professione in famiglia’ (che rappresenta le famiglie che hanno bisogno di assistenza e le imprese che offrono servizi alla persona), Giusy Di Gioia, presidente della onlus ‘Anziani a casa propria’, Cristina Gentile, direttrice di Psychometrics srl, società di orientamento, formazione e servizi per il lavoro. La partecipazione è stata allargata anche a rappresentanti delle famiglie degli assistiti e delle assistenti familiari domiciliari.
In Veneto si stima la presenza di circa 50 mila tra colf e badanti. Per oltre il 90 per cento sono donne e per oltre il 70 per cento straniere, in prevalenza dell’Est europeo. Ma la percentuale di colf e badanti italiane è in continuo aumento, sia per effetto dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di chi risiede e lavora da lungo tempo nel territorio italiano, sia per gli effetti della crisi economica e della disoccupazione che ha visto aumentare le colf italiane ultracinquantenni nel territorio nazionale dalle 15 mila del 2012 alle quasi 37 mila del 2016 (dati Fondazione Moressa). Difficile quantificare la quota di lavoro sommerso: Censis e Fondazione Moressa stimano che a fronte di 885 mila contratti regolari ci siano in Italia almeno un milione di colf e badanti in ‘nero’.