Nel 2020, a causa della pandemia, non sono state chiamate agli screening circa 2 milioni e 500mila persone e questo ha significato, nell’ambito della chirurgia generale, circa 3.300 tumori di mammella e 1.300 tumori del colon non intercettati“. Lo ha fatto sapere il dottor Marco Scatizzi, direttore dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Generale degli Ospedali Santa Maria Annunziata e Serristori di Firenze, e membro del consiglio nazionale dell’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), nel corso di una videointervista rilasciata all’Agenzia Dire.

“Ai 500mila esami di screening non effettuati – ha proseguito Scatizzi – si sono aggiunte le molte migliaia di visite che non abbiamo potuto fare durante la fase pandemica. Di conseguenza questi pazienti non hanno avuto le loro diagnosi e hanno avuto delle malattie ancora presenti, che dovranno essere trattate ma con tutti i ritardi del caso, quindi con problemi importanti e collaterali per la salute”.

-Durante la pandemia in tanti, per paura di essere contagiati, hanno preferito non sottoporsi agli esami di controllo. Ma questi esami sono persi per sempre?

“In questo 2021 stiamo riprendendo le attività di screening, ma la fotografia fatta un anno fa non è quella di oggi. Se una persona aveva una malattia tumorale nel 2020, ad oggi l’avrà più avanzata, per cui sono diminuite le chance di curarla. Stiamo ora faticosamente recuperando le attività di chirurgia, prevalentemente oncologica, che ad oggi sono del tutto sospese anche se non in tutta Italia; mentre abbiamo ancora dei grandi ritardi sulle patologie non tumorali, che hanno comunque un impatto importante sulla salute delle persone. Una calcolosi banale della colecisti, per esempio, nell’attesa può diventare una pancreatite acuta. Allora non possiamo dimenticarci di questi pazienti che a casa, in migliaia, stanno aspettando la nostra chiamata per l’intervento chirurgico“.

-Ma quale è stato il ruolo dei chirurghi ospedalieri in questa fase?

“L’Acoi ha cercato in tutti i modi di lanciare messaggi attraverso i suoi organi istituzionali: siamo stati i primi, all’esordio pandemico, a dire al ministro e agli organi istituzionali regionali che, bloccando le attività chirurgiche, soprattutto quelle oncologiche, ci sarebbero stati dei danni collaterali. Ma anche gli interventi sulle patologie non oncologiche hanno visto un’enormità di ritardi. Fin da subito abbiamo cercato di sensibilizzare i decisori a prendere in considerazione questi aspetti. E credo che ci stiamo riuscendo”.

-“Il Covid ci ha insegnato a investire sulla sanità”, ha detto di recente il ministro della Salute, Roberto Speranza. E in effetti per il rilancio del Servizio sanitario nazionale si è passati dai 9 ai 20 miliardi di investimenti. Cosa vi aspettate ora dal governo?

“Gli investimenti sono un dato di fatto, ma bisognerà vedere come verranno spesi questi 11 miliardi in più. Ovviamente ci sarà un forte sviluppo del territorio, che è molto indietro, ma noi siamo fortemente orientati a chiedere al ministro un’attenzione per le strutture ospedaliere e per la chirurgia generale. Dobbiamo recuperare le liste d’attesa che abbiamo maturato in questo anno e mezzo attraverso interventi mirati sulla chirurgia generale, il che vuol dire aumentare la possibilità, da parte delle Regioni, di farci lavorare di più e di assumere personale in più. Dall’altra parte l’attenzione del ministro e del governo dovrà essere verso il Pnrr e ci aspettiamo, specialmente negli ospedali più in difficoltà, che storicamente sono quelli del meridione, investimenti cospicui in tecnologia, perché il nostro lavoro rispetto a venti anni fa è molto cambiato. Colgo l’occasione per invitare il ministro e tutto il governo ad ascoltarci, perché noi come società scientifica, conoscendo da una parte la struttura del servizio e dall’altra parte i territori, possiamo dare un contributo importante”.

-Dal 17 al 20 ottobre, intanto, si svolgerà a Milano il 39esimo Congresso nazionale dell’Acoi: quali saranno i principali temi trattati?

“Dopo un anno e mezzo di Covid non ne possiamo più dei webinar, quindi rivedersi in una grande kermesse, che vedrà la partecipazione in presenza di 2mila chirurghi, sarà una bella occasione per ‘riabbracciare’ finalmente i nostri colleghi. Voglio ricordare che, con 5mila iscritti, siamo di gran lunga l’associazione scientifica più rappresentativa in Italia. Naturalmente l’aspetto centrale sarà la scienza e i temi trattati saranno quelli tradizionali: la chirurgia oncologica, la chirurgia d’urgenza e la chirurgia anche nei suoi aspetti relazionali con il sistema, perché ci saranno tavole rotonde e un incontro con il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che vedrà la partecipazione di alcuni importanti organi regionali”.

-E dopo il Congresso di Milano, da cosa ripartiranno i chirurghi ospedalieri? Quali sono le vostre priorità?


“Vorremmo ‘banalmente’ ricominciare a lavorare, vorremmo ricominciare a dare le risposte ai nostri pazienti. Ma vorremmo anche ripartire nella formazione, perché non dobbiamo dimenticare che gli ospedali, nel mondo e in Italia, sono il fulcro fondamentale per creare gli specialisti, cioè coloro che si laureano in Medicina e poi vogliono svolgere questa professione. Dobbiamo rendergli l’orgoglio di svolgerla, dobbiamo formarli e difenderli, ma dobbiamo anche restituire una responsabilità sociale al nostro lavoro. Un’ultima cosa ci tengo a sottolineare: la formazione non è possibile acquisirla solo all’università, ci vogliono gli ospedali e ci vogliono i professionisti che diano il loro contributo di esperienza e di capacità ai giovani. In chirurgia, in particolare, si deve ‘saper fare’ e per insegnare questo non possiamo prescindere dagli ospedali”.

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