Una donna che decide di abortire in Italia può percorrere due strade: andare al consultorio familiare, oppure dal suo medico personale. In entrambi i casi dovrà sostenere un colloquio prima di ricevere il documento/certificato necessario per accedere alla procedura di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).

IL PRIMO COLLOQUIO

Il primo step, quindi, è il colloquio, dopo seguono 7 giorni di tempo per eventuali ripensamenti. Al termine dei 7 giorni viene rilasciato il certificato con il quale la donna potrà contattare l’ospedale e avviare la procedura. Ma quale ospedale? “I consultori dovrebbero avere un contatto diretto, ma anche il medico di fiducia potrebbe indicare la struttura, altrimenti le donne dovranno mettersi al telefono e chiamare. Tutti i nosocomi laici sono obbligati a fare le interruzioni volontarie di gravidanza tranne in Lombardia”, spiega alla Dire Elisabetta Canitano, presidente di Vita di Donna Onlus.

 

GLI OSPEDALI NON SONO TUTTI UGUALI

Il percorso in tre step sembra facile, invece è più una corsa ad ostacoli. “Solo il 64,9% degli ospedali offrono questo servizio, nonostante la legge 194/78 nel suo articolo 9 affermi che gli enti ospedalieri devono garantire tutti tipi di Ivg. Tra gli ospedali che ci hanno risposto e che abbiamo potuto mettere sulla mappa- fa sapere l’associazione Laiga (Libera associazione italiana ginecologi non obiettori per l’applicazione della 194)- 238 fanno Ivg chirurgica e 194 Ivg farmacologica, mentre 25 non hanno voluto dichiarare la tipologia di interruzione. Insomma capire qualcosa è stata un’ardua battaglia anche per noi, che comunque avevamo gli strumenti e la forza per attraversare barriere”.

GLI OBIETTORI DI COSCIENZA

Un nodo critico resta l’obiezione. “Nonostante sia lievemente in calo, il numero di ginecologi e ginecologhe obiettori di coscienza resta molto alto, con una media nazionale del 67%. Il dato varia molto sul territorio, e quattro regioni segnano purtroppo una percentuale addirittura superiore all’80% (Basilicata, Campania, Molise, Sicilia). Una percentuale di obiezione comunque alta, ma più moderata, si registra anche tra anestesisti (43,5%) e personale non medico (37,6%) a livello nazionale. La situazione è particolarmente critica a Bolzano e in Campania, dove gli ospedali in cui è possibile abortire sono meno del 30%”, prosegue Laiga.

IL BATTITO DEL FETO

Infine, in alcune regioni si inserisce anche la questione del battito del feto. “In alcuni casi al consultorio non fanno il colloquio fino a quando non sentono il battito del feto, solo dopo questo momento partono i 7 giorni di riflessione. Per sentire il battito si può arrivare anche all’ottava settimana di gestazione”, aggiunge Canitano.

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UN ABORTO DIVERSO A SECONDA DEI GIORNI DI GESTAZIONE

Ecco che dopo il colloquio, i 7 giorni di riflessione, il certificato e aver contatto la struttura c’è la tipologia di Ivg. A seconda dell’epoca gestazionale (settimana di gravidanza) si può fare l’aborto farmacologico, l’aborto chirurgico o l’aborto terapeutico.

– L’ABORTO FARMACOLOGICO

L’Aborto farmacologico può essere fatto solo se non sono trascorse più di 7-9 settimane dal concepimento (49/63 giorni, ma dipende dalle Regioni) e avviene mediante la pillola RU486. “In realtà implica l’assunzione di due tipi di farmaci- spiega la Sismed (Società italiana scienze mediche)- mifepristone e misoprostolo. La prima pillola da prendere è il mifepristone, che blocca i recettori del progesterone del corpo (un ormone), impedendo la crescita della gravidanza. Il secondo farmaco, il misoprostolo, da assumere subito o fino a 48 ore dopo, aiuta l’utero a espellere la gravidanza. Provoca crampi e sanguinamento per svuotare l’utero: è un processo simile a un aborto spontaneo precoce”. Tutto ciò è possibile in regime ambulatoriale, accedendo alla struttura ospedaliera solo per le somministrazioni, poichè è stato eliminato l’obbligo di ricovero. Tuttavia, in alcune strutture è possibile che venga ancora effettuato il ricovero.

– L’ABORTO CHIRURGICO

Oltre le 9 settimane di gestazione è obbligatorio l’aborto chirurgico. “Dopo aver controllato che ci sia tutta la documentazione necessaria (certificato, ecografia, documenti), si effettua il ricovero e le analisi del sangue (a meno che non siano state effettuate privatamente o precedentemente). Si ha un colloquio con il personale sanitario che effettuerà l’intervento e- fa sapere l’associazione Laiga- dove è prevista l’anestesia generale, si ha un colloquio con l’anestesista. Talvolta l’intervento è preceduto dalla somministrazione di farmaci che facilitano la dilatazione del collo dell’utero (per via vaginale o sub-linguale). L’intervento si chiama isterosuzione e viene eseguito in anestesia locale o generale.

Durante l’intervento, viene dilatato il collo dell’utero in modo da poter entrare con una cannula (metodo Karman) e si esegue l’aspirazione del contenuto. Raramente l’intervento può essere eseguito con una curetta di acciaio, come nel classico ‘raschiamento dell’utero’ (RCU, revisione della cavità uterina). Dopo l’intervento, in un periodo di tempo variabile a seconda dello stato della donna (parametri vitali, emozioni), avviena la dimissione dall’ospedale. Potranno seguire perdite di sangue per circa 15/20 giorni, dopo di che è opportuno ripetere un test di gravidanza sulle urine per essere sicure che siano scomparsi dal sangue gli ormoni relativi alla gravidanza. Le mestruazioni torneranno dopo 30 o 40 giorni dall’intervento, ma è importante iniziare subito dopo l’intervento a utilizzare il metodo contraccettivo prescelto. Si può chiedere prima dell’intervento se durante lo stesso è possibile inserire una spirale intra-uterina”.

– L’ABORTO TERAPEUTICO

Infine, c’è l’aborto terapeutico. In determinati casi, la legge 194 permette di abortire dopo i 90 giorni di gravidanza in presenza di un grave pericolo per la vita della donna o di gravi complicazioni a carico della salute del feto.

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