a cura di Humanitas

La prima cosa da fare, quando si parla di artrite, è sfatare i luoghi comuni: non si tratta di una malattia legata all’invecchiamento della persona e non va confusa con l’artrosi.

“Quando ci troviamo davanti a un dolore articolare, dobbiamo capire se sia scatenato da un danno dell’articolazione, e in questo caso si tratta di artrosi, o se, viceversa sia provocato dall’infiammazione. In queste circostanze si parla di artrite e l’esordio può essere estremamente precoce, anche prima dei 16 anni nelle forme giovanili. Nel caso di pazienti di sesso femminile, indicativamente può insorgere tra i quaranta e i cinquant’anni”, precisa in un’intervista a Tutta salute il professor Carlo Selmi, responsabile dell’Unità operativa di Reumatologia e Immunologia Clinica in Humanitas e docente di Humanitas University.

Artrite reumatoide: una patologia cronica

L’artrite reumatoide è una malattia sistemica e cronica. Si tratta quindi di un’infiammazione di tutto il corpo ma i cui sintomi si localizzano principalmente alle articolazioni per più di sei settimane e si possono mantenere addirittura per anni.
Ma quale può essere la spia di un principio di artrite reumatoide?

“Un dolore articolare associato a gonfiore, a tumefazione dell’articolazione. L’artrite reumatoide spesso all’inizio colpisce le articolazioni periferiche di mani e piedi ed è una malattia che predilige ampiamente il genere femminile.

Questo dipende dal fatto che le donne hanno generalmente una migliore risposta alle infezioni, ma anche un sistema immunitario più irruento, che tende a dare origine all’autoimmunità”, continua il professor Selmi.

I sintomi dell’artrite reumatoide

“È quasi impossibile trovare una persona con un problema reumatico che non abbia dolore. Ma è un aspetto più specifico a permetterci di iniziare a distinguere tra artrite e artrosi”, precisa il professore.

“Si tratta della rigidità mattutina. È normale, al risveglio, avere per qualche minuto un po’ di difficoltà a utilizzare le mani, soprattutto per movimenti fini, ma se la durata della rigidità supera i trenta minuti bisogna prestarvi un’attenzione particolare. Con la progressione della malattia ci possono essere delle vere e proprie difficoltà nell’utilizzo delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi.

L’artrite reumatoide è più spesso un’artrite periferica, generalmente simmetrica, che tende con il tempo ad avvicinarsi con l’infiammazione verso il centro del nostro scheletro. Un altro sintomo, come per la maggior parte delle malattie infiammatorie croniche, è la stanchezza, quella che chiamiamo astenia”.

Quali sono i fattori di rischio?

“Le donne, come dicevo, sono più predisposte. Poi va tenuta in conto la genetica, quindi avere una storia in famiglia di artrite reumatoide, ma anche dei fattori ambientali. Uno dei più importanti è il fumo di sigaretta, e poi l’igiene orale, in quanto alcuni batteri del cavo orale sembrano favorire l’insorgenza della malattia”.

L’artrite reumatoide e i suoi legami con il cuore

“L’artrite reumatoide”, sottolinea il professor Selmi, “è una malattia sistemica, che colpisce l’intero organismo e, quindi, anche il cuore. L’infiammazione cronica è di per sé un fattore di rischio per sviluppare più velocemente aterosclerosi, cioè quel restringimento delle arterie che va a compromettere una corretta irrorazione sanguigna.

Un’artrite reumatoide non controllata aumenta del 50% il rischio di infarto o di ictus: per questo bisogna convincere chi ha questa malattia non solo a smettere di fumare, ma anche a tenere sotto controllo il peso corporeo”.

L’impatto dell’artrite reumatoide sulla quotidianità

L’artrite reumatoide, quindi, è una malattia che ha ripercussioni anche sulla vita personale del paziente. “Oggi abbiamo gli strumenti per diagnosticare la malattia più rapidamente e precocemente, trattarla in maniera più efficace per prevenire le conseguenze a lungo termine, soprattutto in termini di disabilità, e ridurre al minimo l’impatto che può avere sulla qualità della vita.

Non è sufficiente che le terapie che proponiamo vadano bene per quello che possiamo valutare da un punto di vista obiettivo: è sempre più importante che portino anche un miglioramento rilevante della qualità della vita, anche sociale, dei pazienti”, spiega lo specialista.

Quali sono i trattamenti per l’artrite reumatoide?

“Le terapie per l’artrite reumatoide sono state rivoluzionate negli ultimi dieci anni. Ciò non significa che i vecchi farmaci come il methotrexate vadano abbandonati, ma che la probabilità che il paziente faccia una vita normale è molto superiore rispetto al contrario.

Dobbiamo ringraziare in particolar modo due categorie di farmaci: i farmaci biotecnologici (comunemente chiamati ‘biologici’), generalmente anticorpi che sono molecole che hanno un bersaglio estremamente preciso al di fuori della cellula, le citochine, e i più nuovi farmaci orali, che chiamiamo ‘piccole molecole’, che con altrettanta precisione vanno a colpire dei meccanismi all’interno della cellula”, puntualizza il professor Selmi.

Terapia farmacologica e attività fisica: un’azione combinata

“I pazienti con l’artrite reumatoide non vanno messi a riposo. Dobbiamo incoraggiare un’adeguata, graduale, attività fisica a basso impatto, che permetta di mantenere un’elasticità muscolare e articolare ottimale”, conclude il professore.

 

L’articolo è tratto da un’intervista del professor Carlo Selmi a Tutta Salute (Rai 3) del 1 giugno 2020.

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